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“Lo sviluppo di HOVR è stato ispirato dall’aver compreso che, per un runner, ogni passo ha un impatto pari a 2-4 volte il suo peso corporeo, e lo àncora al terreno” – dice Dave Dombrow, Chef Design Officer di Under Armour. “La suola intermedia di HOVR restituisce grande energia e rende ogni passo leggero e senza sforzo”. Il nucleo di ammonizzazione che garantisce questi risultati è racchiuso in una rete a maglia, l’Energy Web. La scarpa può così assorbire l’impatto, riducendo al minimo la fatica. |
Le HOVR Sonic sono state create per i runner che puntano alla distanza: hanno un peso di circa 272 grammi e un drop di 8mm. Le HOVR Phantom hanno invece una tomaia in maglia, un calzino che racchiude il piede e garantisce comfort e adattabilità intorno alla caviglia. |
# Firestone: cosa c’entra la musica con gli pneumatici? |
Un brand storico scommette su festival e artisti emergenti per il suo rilancio. L’operazione è riuscita, grazie a un approccio autentico e attento all’heritage del marchio |
Il **Primavera Sound** di Barcellona è uno dei festival musicali più belli del mondo. Forse il più importante. E quest’anno Firestone ha scelto i giorni del festival e la metropoli catalana per presentare il suo ultimo pneumatico, il **Roadhawk**. Una scelta azzardata? No, anzi. Un matrimonio riuscito e consolidato, quello tra il brand del gruppo Bridgestone e i festival musicali. “Funziona”, spiega Thierry Jupsin, Director Brands Marketing di Bridgestone. La musica è stata una scelta precisa per il rilancio del brand Firestone nel 2014, spiega. A tre anni di distanza, i risultati si vedono. Il brand ha una storia antica e la musica da sempre è nel suo dna: la Firestone Tires & Rubber è stata fondata nel 1900 e poi acquisita nel 1988 da Bridgestone. Nel 1928, Harvey Firestone lanciò **The Voice of Firestone**, un programma radiofonico, che presto arrivò anche sulla televisione americana, per la ricerca di nuovi talenti musicali. Nel 2014, quando è stato organizzato il Firestone Music Tour, è rimasta quella filosofia: “Non abbiamo semplicemente sponsorizzato un concerto, o un festival, o dei festival”, spiega Jupsin, “Noi cerchiamo il talento. Le star del futuro”. |
C’è il sole di giugno, qui a Barcellona, quando una carovana di auto attraversa la città per poi spostarsi a nord, tra le montagne dell’entroterra catalano, tra cittadine industriali di fine Ottocento, tornanti che fanno la serpentina tra montagne verdeggianti e un panorama di coste rocciose rossastre e levigate dal tempo che ricorda certi scorci americani. In un circuito fuori città proviamo le nuove **Roadhawk**: gomme sviluppate nel centro Firestone di Roma che garantiscono risparmio e durata grazie all’ottimizzazione dell’efficienza di rotolamento per il contenimento di consumi e una attenzione speciale alla performance in condizioni difficili, che si tratti di una frenata o di curve sul bagnato. “Io mi diverto quando ho la padronanza del mezzo e questi pneumatici me lo consentono”, spiega **Stefano Modena**, ex pilota di Formula 1. Con una stoccata: “Del resto io vengo da un mondo dove se fai i traversi non ti stai divertendo, stai solo andando più lento degli altri”. La prova su pista, con pneumatici Roadhawk e della concorrenza diretta, nuovi e usati per 20mila chilometri, dà ragione a lui e Firestone. |
“Quando si è trattato di rilanciare Firestone, nel 2014, avevamo davanti una bella addormentata”, racconta Thierry Jupsin. “Un brand mitologico per molti, soprattutto negli Stati Uniti, dov’era legato a indy car e formula 1”. E tira fuori l’episodio di quella volta in cui si è visto un americano pronto a mettere mano al portafoglio per portarsi a casa il giubbetto “d’ordinanza” con logo Firestone. “D’altra parte, i giovani lo conoscevano poco”. In questi tre anni, c’è stato un doppio rinnovamento: sul prodotto, con il lancio di 6 nuovi tipi di gomme. E sull’immagine, che riparte dalla “voce” del brand, la musica. “Non facciamo semplicemente sponsorizzazioni, vogliamo che il nostro apporto sia autentico. Firestone è da sempre un marchio autentico”. Da qui la scelta di puntare sugli artisti emergenti – “qualsiasi genere va bene, basta che non siano super commerciali” e non su un grande nome. Un investimento che dà soddisfazioni, anche se si tratta di seguire concerti in piccoli club, e di investire le energie su un’attività che va seguita tutto l’anno. “In Italia abbiamo lavorato da febbraio a novembre”, spiega Daniela Martinez, Manager, PR & Communications di Bridgestone Europe - South Region. Ogni country organizza un contest. Gli artisti vengono votati via web e chi vince può suonare in un festival o essere pubblicato. Un’attività che si svolge sul sito di Firestone e sui canali social. “Abbiamo un livello di interazioni su Facebook altissimo”, dice Jupsin. E il futuro? “Non ci accontentiamo. Ogni anno abbiamo aggiunto qualcosa. Quindi ci saranno sorprese”. |
Firestone, oltre al Primavera Sound, è presente in altri 8 festival europei, di cui due in Italia: Collisioni (nel Barolo, a luglio) e Home Festival (Treviso, a settembre).# 5 cose su Sete di Jo Nesbo, spiegate da Jo Nesbo |
Non c’è pace per **Harry Hole**. Dopo avere conosciuto l’esilio di Hong Kong ed essere morto (o quasi), e infine avere mollato le indagini per stare con l’amata Rakel, il suo creatore **Jo Nesbo** lo fa tornare sulle tracce di un serial killer (uno solo?) in **Sete** (Einaudi, anche in ebook), undicesimo romanzo con protagonista l’ispettore (ora insegnante alla scuola di polizia della sua Oslo) che dieci fa era un culto e ora è un bestseller, con decine di milioni di copie vendute, un film in arrivo (Fassbender gli presterà il volto) e l’invito a prendere posto nel palchetto riservato agli dei della scrittura nera (**James Ellroy** per primo, ma non è solo). C’è voluto tempo, per questo investigatore scassato dalle dipendenze (l’alcol, le sigarette e… il lavoro), con una vita impossibile e metodi discutibili, abituato a muoversi tra puttane, eroinomani, assassini e poliziotti corrotti. La strada che **Harry Hole** ha percorso è lunga, lunghissima. Questo è l’undicesimo capitolo, a tre anni di distanza (nel nostro e nel “suo” mondo) da **Polizia**, romanzo a cui è strettamente legato – se non l’avete letto, vi conviene farlo prima di **Sete**. E magari anche un ripassata ad altri titoli del passato, come **Stella del Diavolo** non fa male… Torna Harry Hole, ma è cambiato: più maturo, quasi vecchio, abbastanza saggio, quasi sereno – incubi a parte –, non beve, addirittura fa sport. |
E ha mollato le indagini. Fino a prova contraria, ovviamente. Uno dei temi di **Sete** è quella strana condizione per cui ci troviamo a odiare quello che sappiamo fare meglio, ma che siamo costretti a fare: per senso del dovere, o perché quello è il nostro ruolo nella società. Così Harry torna dal prepensionamento che si è scelto - insegnare alla scuola di Polizia - per mettere al gabbio l'unico killer che gli sia sfuggito. Per catturarlo, Harry deve uscire dalla torre d’avorio che si è creato, la casa nel quartiere tranquillo, antica e resistente, il suo fortino d’amore con **Rakel**, la donna della sua vita, che finalmente ha sposato. Perché Harry Hole è il migliore in quello che fa, come Wolverine, ma quello che fa in fondo lo odia. Jo Nesbo, invece, non odia quello che sa fare meglio: scrivere. “Lo farei anche gratis”, spiega. E cita Springsteen: “è come essere pagati per fare qualcosa che spetta ai re”. Alla soglia dei 56 anni, vestito in jeans e piumino in una Milano d’inizio primavera dove il vento soffia ancora fresco, ma non come nella sua Norvegia ovviamente, all’inizio sta sulle sue – come gli compete giustamente da scandinavo di fronte a un italiano – e poi sempre più caloroso, carismatico e coinvolgente, Jo non è un semplice autore di crime. L’incontro dal vivo conferma il sospetto che avevamo da tempo. Nesbo è un grande narratore dei nostri tempi, un osservatore attento di questo mondo. Che ci guarda dall’alto: da Oslo. E anche lui, proprio come Harry Hole, non esisterebbe senza questa capitale unica in tutta Europa. “Ho un relazione romantica con la mia città”, spiega lui. Nel giro di trent’anni, con i soldi del petrolio, la capitale norvegese si è trasformata da paesone del profondo nord a una delle città più ricche e importanti del continente. Un cambiamento simboleggiato dalla costruzione dello splendido **teatro dell’Opera**, landmark architettonico che è un’autentica fissazione per i norvegesi tutti – più bello per com’è fatto, che per quello che viene rappresentato al suo interno, sottolinea Nesbo. Ma Oslo è stata anche una delle città con la più alta percentuale di eroinomani negli anni Settanta. Un passato recente di morte, violenza e degrado che nessun container di petroldollari e nessunaa riqualificazione urbana è riuscita a cancellare del tutto. Tuttavia, non è così pericolosa come nei suoi libri, ammette l’autore. “Il pericolo c’è, ma devi andartelo a cercare”. Ma non è l’unica cosa che troverai in Sete, che come tutti i libri di Nesbo non è un semplice giallo, ma una prova d’amore per la sua città e una tra le letture migliori sulla piazza. Perché **Sete** non è solo un bellissimo romanzo crime. È anche una delle avventure più belle degli ultimi anni, con un finale da perderci la testa (letteralmente). |
**Caffè**. In **Sete**, Nesbo lo scrive esplicitamente. Oslo è uno dei migliori posti dove bersi un caffè nel pianeta. “Ma anche il vostro a Milano non è male. È famoso, il caffè di Milano?”, chiede. E poi racconta che, un po’ come i personaggi dei suoi romanzi, anche la sua vita si consuma per parecchio tempo nei bar. “Ho una casa bellissima, con una magnifica vista”, spiega lo scrittore. ”Mi sono anche comprato una splendida scrivania, enorme”. Ma alla fine la usa solo per controllare le email, e va a scrivere al caffé. Dove, come tutti, deve arrivare presto per trovare posto. In generale, i romanzi che tanto ci piacciono non vengono quasi mai scritti in casa. “Uno dei miei posti preferiti per scrivere sono gli aeroporti”, spiega. E sorridendo: “sono l’unica persona che è felice quando un volo parte in ritardo”. |
**Alcol**. La scimmia sulle spalle di Harry Hole. E quello che ce lo rende umano, forse. Ma anche lo specchio di una situazione, quella norvegese, dove l’abuso d’alcol è stato combattuto mandando i prezzi alle stelle (soprattutto per chi non gli altissimi stipendi scandinavi) e rendendolo difficilissimo da reperire. Negli anni del socialismo reale, spiega Nesbo, ubriacare la popolazione era uno strumento di controllo. Ovviamente le tradizioni sono difficili da sradicare. Così lo scrittore racconta una tradizione che ancora vive nelle zone rurali della Norvegia, quella del karsk, una bevanda che si ottiene mescolando caffé e alcol fatto in casa. Si pone una moneta sul fondo di una tazza e la si riempie di caffè finché non la si vede più. Ogni volta che riappare, si rabbocca con l’alcol. Quando sparisce dalla vista, si può smettere di versare. E bere ancora. |
**Musica**. La colonna sonora della saga di Harry Hole è una corsa tra le montagne russe di punk, rock anni Settanta, indie di fine secolo scorso del quale ci eravamo dimenticati tutti (i Kaiser Chiefs!). Ma Jo Nesbo fa anche parte di una band, i Di Derre. Rivela che fanno il genere che non t’aspetti, un tranquillissimo pop e testi che raccontano storie, è una “sing-along band”, come la definisce lui. Pare che Bob Geldof, un grande fan di Harry Hole, contattò Nesbo per andare a vederlo suonare dal vivo co la sua band. E non rimase proprio entusiasta. Anche lo scrittore più nero ha un lato solare. |
**Tinder**. In Italia siamo tutti un po’ convinti che serva poco a rimorchiare, invece pare che in Norvegia funzioni alla grande. Il sesso occasionale nell’epoca dei social network è una manna per un giallista e Nesbo non si lascia ovviamente sfuggire l’occasione. E la figura della donna che ne esce, fortissima e indipendente, ma anche vittima dell’abuso e oramai abituata agli stalker, è quanto mai attuale, miglia lontana da quella idealizzata dai fanatici del politicamente corretto. “Il caffè dove scrivo è un ritrovo per gli appuntamenti di Tinder”, dice Nesbo. Che è rimasto molto colpito, ovviamente, da come si svolge un dialogo finora inimmaginabile, quello di chi si “matcha” online e poi si incontra nella vita reale. “Alcuni di quei dialoghi volevo trascriverli”, confessa. E poi racconta di una sua amica, a quanto pare tinderista cintura nera, alla quale lui incuriosito chiedeva ogni dettaglio di quello che le capitava: le conversazioni, gli uomini e gli incontri: talvolta fin troppo normali, altre volte bizzarri, occasionalmente pericolosi. Esattamente come li ritroviamo in **Sete**. |
**Vampirismo**. È il tema del libro, che non si occupa tanto di vampiri, quanto di vampirismi. La sindrome di Renfield, dal nome del fedele servitore di Dracula, è una patologia che la psichiatria ufficiale non ha mai accolto troppo seriamente nel suo catalogo, e consiste nel desiderio irrefrenabile di nutrirsi di sangue di animali, ma anche di altri uomini. L’idea del libro è nata per caso: “stavo facendo delle ricerche per altre cose in un enorme archivio sotterraneo quando mi è capitato tra le mani un dossier su un presunto vampirista”. Il caso più famoso della storia è quello di **Peter Kürten**, il Vampiro di Dusseldorf, che terrorizzò la città tedesca a inizio Novecento uccidendo nove persone e succhiando il loro sangue. Quando fu catturato e condannato alla pena di morte per decapitazione, racconta Nesbo, il serial killer consultò il dottor Karl Berg e gli chiese se, una volta che gli fosse stata staccata la testa, avrebbe avuto il tempo di godere dello spruzzo di sangue scaturito dal suo stello collo mozzato, prima di perdere per sempre conoscenza. |
# Mass Effect: Andromeda, il gioco che voleva essere troppo |
In uno sconfinato universo in cui la noia si fa cosmica cosa ti resta da fare? Sparare agli alieni, ovvio. E pensare che questa avventura voleva arrivare là dove nessuno è mai giunto prima. La recensione |
La notizia con cui al mondo è stato servita l’uscita del nuovo capitolo di **Mass Effect**, il quarto di una delle saghe più vendute delle precedenti generazioni di console, è questa: [le digitalizzazioni dei volti volti sarebbero di scarsa qualità e il motivo è che a farle, o meglio a dirigerne la produzione, sarebbe stata una cosplayer](http://www.polygon.com/2017/3/18/14969390/mass-effect-andromeda-lead-animator-harassment) , ovvero lo stereotipo della “figa scema” in un mondo sovraffollato dai maschi (e dal maschilismo). La news è stata smentita da Bioware, la software house che sviluppa Mass Effect, ma il capro espiatorio (anzi, la capra) servita su un piatto d’argento ha sviato l'attenzione da un videogame che non è, [almeno stando alle prime recensioni](http://www.metacritic.com/game/playstation-4/mass-effect-andromeda) , il capolavoro che si sperava. Nelle prime ore il gioco non è certo il più entusiasmante: il protagonista (o la protagonista, a scelta del giocatore) si sveglia da un lungo sonno criogenico, precipita su un pianeta tutto fulmini che sembra messo lì per ricordarti [il colosso **Vah Naboris** del nuovo Zelda](https://www.gqitalia.it/gadget/hi-tech/2017/03/07/il-nuovo-zelda-ha-sconfitto-il-nemico-che-ci-sta-fregando-tutti-la-nostalgia/) , guida la batmobile dei coloni spaziali (ma non si dovrebbe guidare da sola?). Combatte, prova le sue abilità telecinetiche (“biotiche”), perlustra cripte e visita nuovi pianeti. In una decina e passa d’ore di gioco ho esplorato, mi sono guardato intorno, ho cercato di essere curioso e conoscere l'ambiente. In realtà, sbagliando. Scoprivo dopo poco tempo che per andare avanti nella storia principale basta seguire le stelline sulla mappa, interagire con il tasto Y premuto a lungo, sparare ai cattivi, interagire con Y, dare risposta alle tediose conversazioni in cui mi trovo coinvolto cliccando sempre l'icona con la rotella nel cervello della risposta intelligente, fare una corsetta nella base spaziale, cambiare pianeta, conoscere nuovi alieni, scegliere l'icona con la rotella, tenere schiacciato Y, seguire la stella sulla mappa e così via, meccanicamente verso l'universo e oltre. Certo le battaglie contro alieni e droidi sono divertenti e ben disegnate. Ma da questo gioco ci aspettavamo tutti molto di più. |
Sono decenni che esploriamo lo spazio nei videogiochi, insieme a**Electronic Arts**, l'azienda che pubblica **Mass Effect**, almeno dal 1986, quando pubblicò Starflight, un gioco di ruolo di esplorazione galattica che ha fatto scuola e a suo tempo raccolse il favore di **Orson Scott Card**, l'autore di Ender's Game, che lo definì “il Guerre Stellari dei giochi di fantascienza”. Sempre rimanendo in zona Jedi, **Bioware** ha firmato The Knights Of The Old Republic (2011), il gioco di ruolo “spaziale” per eccellenza dei nostri anni - com'è noto, molte idee furono poi riciclate in Mass Effect. **Andromeda**, il quarto capitolo, sostanzialmente uno spin off della trilogia originale, è il figlio di una lunga tradizione e si ispira a un grande filone della tradizione della space opera: l'arca stellare in cerca di un nuovi pianeti da colonizzare e soprattutto di una nuova terra. Un classico, da **When Worlds Collide** del 1933 fino a **Hull Zero Three** di Greg Bear, pubblicato qualche anno fa, che abbiamo visto in tutte le salse, dalle versioni paradossali (nella Guida Galattica) a quelle cospirazioniste (Ascension) fino a un recentissimo adattamento cinematografico non proprio riuscito (Passengers). Dentro Andromeda ci sono, oltre ai primi tre Mass Effect, **Star Wars** (di default) e **Star Trek**, **Battlestar Galactica** e **Halo**, un po’ di **Destiny** e l’aspirazione all’infinito di **No Man’s Sky**. La nave stellare si chiama Hyperion, come la nota saga sci-fi di **Dan Simmons**. Il passato è un gigante sulle cui spalle montare per guardare ancora più lontano; ma in questo caso si tratta di un gigante pericoloso, tormentato, dalle mille identità e che non va assolutamente preso sottogamba. Così Andromeda sembra l'opera di un dodicenne che si è messo in testa di scrivere una grandissima storia di fantascienza dopo avere visto in tv qualche puntata di **Star Trek: The Next Generation**. Il protagonista è il pathfinder, “Pioniere” (boh) nella versione italiana. A seconda della scelta del giocatore sarà uomo o donna; non lo diventi per particolari meriti, pathfinder, ma perché sei figlio del pathfinder precedente. Grazie a una tumultuosa avventura in una cripta gigantesca dotata di tecnologia avanzatissima, le tue azioni all'interno dell'Iniziativa per la colonizzazione impennano. Sarà anche che sei l'unico pathfinder rimasto in circolazione. Il resto è tutto piuttosto prevedibile: un pianeta abitabile che sembra arrivato dal sistema **Trappist**, una razza aliena brutta e cattiva, un po’ orchi e un po’ Klingon, la Resistenza capeggiata dai sosia di **Jar Jar Bings** (brrr) e così via. Da un videogioco sull'esplorazione cosmica [nell’epoca in cui il turismo spaziale è diventata realtà](https://www.gqitalia.it/news/2017/02/28/spacex-porta-due-turisti-spaziali-intorno-alla-luna/) , aspettarsi qualcosa di più, uno sforzo, un’idea originale, era il minimo. |
La sensazione, dopo averlo giocato per un po’ di ore. è che **Andromeda sia troppo.** Ma non quel troppo che ti trascina via e ti spinge sulle rotte del sublime, come ti poteva succedere in Mass Effect 2. È un troppo che risulta in un troppo poco. Troppi personaggi, troppe opzioni, troppe citazioni. Troppe missioni secondarie. Troppe complicazioni nei menù. Troppi cose da leggere. Troppe armi, troppi poteri. Troppe cut scene. Troppe tipologie di alieni, comunque tutte dimenticabili. Troppe corse nei corridoi prima di entrare nelle missioni. Troppe attese. E troppa, troppa superficialità nel delineare le storie, le figure e le meccaniche di gioco. **Un gigantesco già visto a cui si fatica a rispondere se non con un gigantesco chissene**. E un'impressione terrificante. Che non ci sia una singola, buona idea originale a sostenere questo elefante che ha partorito meno di un topolino. |
Il lead designer, **Ian S. Frazier**, volando altissimo, ha citato tra le opere che hanno ispirato il gioco **Firefly** di Joss Whedon, [Interstellar, il magnus opus spaziale di Christopher Nolan, e The Expanse](http://www.rollingstone.com/culture/news/mass-effect-andromeda-game-inspired-by-expanse-firefly-w468682): la serie tv di SyFy (che trovi anche su Netflix), tratta dai romanzi della serie Leviathan, forse non è la risposta della science fiction al Trono di Spade come molti credono, certamente è un modo per niente banale di affrontare la **space opera**, oggi. Ci sono le colonie e i viaggi nello spazio. Ma si mischiano i generi, gli scenari urbani sembrano quelli dei nostri incubi, la visione politica mette i brividi; la cosmologia è studiata nel dettaglio, la narrazione è potente e le morti sono atroci. È una storia da cui non ti stacchi. Mette insieme gli elementi, quelli giusti, con buone idee originali e un filo rosso che lega la saga alla nostra realtà senza mai scadere nell’ovvio. Una space opera contemporanea che è già un classico. [A rischio di cancellazione](http://bit.ly/2nnpQ3Q) . Perché la fantascienza dura e pura è cara agli affezionati, ma non al grande pubblico, in tv. I videogiochi fanno storia a parte. **Mass Effect Andromeda**, con le sue trame già viste e i suoi alieni poco originali, ma anche un universo sconfinato e sparatorie che si preannunciano epiche, riuscirà a conquistare il cuore dei cowboy del joypad? |
**Abbiamo provato Mass Effect Andromeda grazie a una copia fornita da Electronic Arts e giocata su Xbox One S**. |
# Ma ci serviva davvero un film di Assassin's Creed? |
Non che sia un pessimo film, anzi. Ma emozionerà pochi e quei pochi si sentiranno a disagio |
«Ha fatto il Balzo della Fede!». È quando una **Marion Cotillard** rigida come non mai pronuncia queste esatte parole, subito dopo il formidabile salto di **Michael Fassbender,** che il mio disagio all'anteprima per la stampa del film di **Assassin's Creed**, in una mattinata di fine dicembre, si fa enorme, complice anche un doppiaggio non certo irresistibile, a cui però non si possono dare tutte le colpe. |
Perché ne ho fatti a centinaia, di Balzi della Fede. Forse migliaia, anche se li ho sempre chiamati Salti. Il Salto della Fede è un volo nel nulla, che di solito finisce in un carro di paglia. Almeno nei videogiochi, perché Fassbender invece atterra plasticamente in una posa in ginocchio come il migliore Batman. |
Il Salto è una delle cose più belle della serie di videogiochi di **Assassin's Creed**. Perché è sostanzialmente inutile. Un lungo vertiginoso tuffo dall'altezza delle aquile a quella degli uomini. Una firma di destrezza, un segno con cui intendersi tra pochi eletti. Perché tutti gli altri, scendono per le scale. E ridono, se lo vedono al cinema. |
I videogames hanno ispirato molte cose belle. In attesa di **Ready Player One**, per il cinema basta citare **Tron** e **War Games** – e **Kung Fury**, ovviamente. La storia dei film tratta dai videogiochi invece è sciagurata. Il caso più recente, **Warcraft**, un'accozzaglia di luoghi comuni fantasy firmata da Duncan Jones, non è andata malissimo, ma la sua fortuna resta un'inezia rispetto al gioco online che per anni ha trasformato una generosa fetta di occidentali in **hikikomori** persi davanti al pc. La meccanica del videogioco è passata da Pong allo scorrimento orizzontale obbligato dei platform al trionfo dell'esplorazione totale negli open world, ma in tutto questo tempo di film buoni, da Super Mario in giù, non se ne sono visti. Improbabili, infantili, pieni di stereotipi. Chi si aspettava che il cinema sdoganasse il videogioco e i suoi immaginari è rimasto a bocca asciutta. Ma forse non ce n'è neanche bisogno. |
Di tutte le saghe che hanno fatto la storia recente del videogioco, ovvero da quando è una forma di intrattenimento che fa concorrenza al cinema per incassi, **Assassin's Creed** è quella che forse si presta meglio a un adattamento. In dieci anni ha costruito una mitologia terribilmente pop. Ci sono complotti, sette, esperimenti scientifici, città del passato, un eroe ignaro che rivive le gesta eroiche dei suoi antenati. Il film riprende i temi, cambia i nomi dei protagonisti, evita strade ovvie - usare personaggi già visti nei giochi, come Ezio Auditore, che tutti i fan avrebbero voluto protagonista - e reinventa la storia adattandola. Un frullatone di Assassin's Creed. Mal digeribile. |
Forse il cinema del futuro sarà così. Visionario a tempo perso. Speriamo di no. Più che un film, sembra una inesorabile sequenza di trailer di un videogioco 3D bellissimo che non vedrà mai la luce. Ci sono troppi personaggi, piani temporali a profusione e dialoghi spesso talmente ermetici che sembra di essere finiti in una puntata di Lost. La Cotillard che chissà a cosa pensava, forse a Brad Pitt. |
Il film di Assassin's Creed sembrerà un polpettone complottista di cui si capisce pochissimo, per chi non conosce il complesso retroscena dei giochi. Tutto già visto, invece, per noi altri medaglia d'oro olimpica in **Salto della Fede.** |
Eppure. |
Eppure mi ha emozionato da matti. Quando i protagonisti attaccano dai tetti, come ho fatto io mille volte. Mentre volano su e giù per i cornicione di una città labirinto con il loro parkour medievale. **Callum Lynch**, l'assassino dell'oggi, rivive la grande avventura del suo antenato Aguilam, come io ho rivissuto quelle di **Ezio**, di **Connor/Ratonhnhaké:ton**, dei gemelli **Frye**. Tutto, anche quel quel Balzo da pelle d'oca, un attimo prima che il cinema esplodesse in una fragorosa risata. |
E mi sono sentito terribilmente a disagio. Perché se non avessi passato buona parte delle vacanze di Natale degli ultimi anni su e giù per i tetti nei panni di un assassino, probabilmente avrei riso anche io. |
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Perché io capivo. |
Mentre tutti ridevano. E se il videogioco voleva dimostrare di essere un media maturo, entrato nella sua fase adulta, questo è un pessimo biglietto da visita da presentare a tutti quei babbani che un joypad in mano non lo prenderanno mai. |
XXXC'è un alfabeto nei videogiochi. Si scrive con il joypad, si impara lentamente, si dimentica con fatica. È l'abc per entrare in qualcosa di più grande. Mondi. Interazioni. Esperienza. Quell'alfabeto ti si scrive dentro. Non ti molla più. Ma si può tradurre sul grande schermo? C'è una parola in italiano, riduzione. La si usa per indicare il processo di adattamento da romanzo. Film. Ma un videogioco non è un libro. Non è un racconto. È qualcosa di diverso. |
C'è un ragazzo ignaro di essere il discendente di una stirpe di Assassini. C'è una setta che governa di nascosto le sorti del mondo. Sono i Templari, ma potevano chiamarsi Illuminati o Massoni, l'effetto sarebbe stato lo stesso. Ai templari e agli assassini |
Mi hanno anche spiegato che Callum, discendente di Assassini, ha la violenza nel sangue. Ma deve trovare la sua strada, il suo addestramento. Fantastico! |
# Final Fantasy XV non ti salverà dalla nostalgia di Final Fantasy |
Come per tutte le grandi saghe, a ciascuno il suo **Final Fantasy**. Ci sono i fan dei primi capitoli, che hanno definito il dna dei giochi di ruolo su console. C’è chi ama alla follia il **VI**, l’ultima grande uscita su SNES, e poi ci sono i supporter del **VII**, il primo su PlayStation, forse non un gioco perfetto, però quello che tra tutti ti è rimasto nel cuore perché non solo perché una cosa del genere non l’avevi mai giocata, e poi come per le grandi serie tv ha i personaggi più incredibili e la morte più dolorosa. Poi Final Fantasy **IX**, che chiude la trilogia della prima console Sony con un gioco esteticamente bellissimo e decisamente divertente. Infine, il **XII**, uno splendido canto del cigno per la PS2, sicuramente il capitolo meglio riuscito tra i più recenti. Uscì nel 2006 in Giappone e Usa, in Europa addirittura nel 2007, quando oramai risparmiavamo sui giochi per comprare la **PlayStation 3**. |
**E dieci anni più tardi, è arrivato Final Fantasy XV**. Atteso dopo una travagliatissima gestazione, ma anche temuto dai fan come il capitolo che avrebbe potuto fare naufragare la serie, è uno dei giochi più divertenti dell’anno. L’avvio della trama è da favola, in tutti i sensi: il principe **Noctis** parte con i suoi 3 amici per andare a sposare la nobile **Lunafreya**. Il matrimonio dovrebbe sancire la fine delle ostilità tra il **Regno di Lucis** e **l’Impero di Niflheim**. Non ci sarà nessun matrimonio, ma una incredibile avventura, e il principe incontrerà il suo destino. |
È un mondo tutto nuovo, quello di Noctis e compagni, ma molti caratteri ti rimandano direttamente nell’atmosfera dei migliori **Final Fantasy**: la combinazione di fantastico e moderno, magia e tecnologia; quello spirito delle piccole cose, come il **side quest** in cui aiuti un gatto, o quando scopri che l’abilità del tuo personaggio principale, Noctis, è la pesca (sì, proprio pescare; con la lenza, soprattutto). Ma anche la grande epica, gli scontri titanici, la lotta tra bene e male, il tema della predestinazione e dei destini che si incrociano per salvare il mondo. Le creature magiche e incredibili. Il Bahamut e i **chocobo**! Ma a gioco concluso, al di là dei calli ai pollici dopo le interminabili corse su e giù per lo schermo, il sapore che ti resta addosso è soprattutto quello dell’avventura di una banda di 4 amici, che potevano essere i tuoi **bff** del liceo, ognuno con i suoi tratti, le sue spensieratezza, le sue debolezze, la voglia di vivere anche in un momento in cui la necessità principale è sopravvivere. Come **Trainspotting** o **i Ragazzi della Via Pal** o **Stranger Things**. Quattro amici che fanno il road trip della loro vita a bordo di una splendida macchina, la Regalia – sì, proprio un’auto, con il meglio delle colonne sonore di **Final Fantasy** che vanno in loop sull’autoradio. |
Questo il bello. Ma non basta. Perché il gioco, nonostante una trama abbastanza coinvolgente, seppur non originalissima, parte con le migliori aspettative e poi si perde. Un po’ come quei libri che iniziano una trilogia, mettono giù ottimi fondamenti, ti fanno assaporare le potenzialità di quello che verrà, ma niente di più. E poi ci sono una serie di meccaniche riguardanti la giocabilità che non possono essere omesse dal giudizio complessivo: il **sistema di combattimento** funziona, ma tende a essere ripetitivo; la squadra dei personaggi non è modificabile e tra di loro solo **Noctis** è fortemente customizzabile. Le **ascension**, le capacità speciali che i personaggi guadagnano, sono un labirinto in cui è difficile orientarsi, ma facile annoiarsi, anche perché non sembrano poi così determinanti. Alle volte vorresti fare interagire il tuo personaggio con un oggetto e lui salta! Insomma, dopo un buon avvio, tra sgommate, ragazze sexy alla stazione di benzina e qualche primo, esattamente scontro, a poco a poco **Final Fantasy VX** comincia a deludere. Sotto molti punti di vista. |
Ma non è una semplice delusione. Perché FF XV ti spalanca lo stomaco per il rimpianto. Ti ricordi quel colpo di scena del **sei**? E com’erano fighi i personaggi del **sette**, tu lo usavi Cid? E i combattimenti del **dodici**? **Chissà cosa ci ricorderemo di Noct e compagni**. Forse che erano in fondo un gruppo di simpaticoni, come gli amici dell’interrail, e a lui piaceva pescare. Ma ora la nostalgia per tutti quegli altri **Final Fantasy** è tornata. E quasi mi ci metto a giocare. Che fosse questo il piano, fin dall’inizio? |
**Abbiamo provato Final Fantasy XV con una copia promo su Xbox One. Molti dei titoli citati, precisamente dal primo capitolo al VII, e anche il IX, sono disponibili negli store iOS e Android.** |
# Rogue One. La storia di Star Wars che non avresti mai voluto vedere |
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