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874 | Relinquebatur una per Sequanos via, qua Sequanis invitis propter angustias ire non poterant. His cum sua sponte persuadere non possent, legatos ad Dumnorigem Haeduum mittunt, ut eo deprecatore a Sequanis impetrarent. Dumnorix gratia et largitione apud Sequanos plurimum poterat et Helvetiis erat amicus, quod ex ea civitate Orgetorigis filiam in matrimonium duxerat, et cupiditate regni adductus novis rebus studebat et quam plurimas civitates suo beneficio habere obstrictas volebat.Itaque rem suscipit et a Sequanis impetrat ut per fines suos Helvetios ire patiantur, obsidesque uti inter sese dent perficit: Sequani, ne itinere Helvetios prohibeant, Helvetii, ut sine maleficio et iniuria transeant. | Agli Elvezi rimaneva solo la strada attraverso le terre dei Sequani; contro il loro volere, però, non avrebbero potuto passare, perché era troppo stretta. Da soli non sarebbero riusciti a persuadere i Sequani, perciò mandarono degli emissari all'eduo Dumnorige, per ottenere via libera grazie alla sua intercessione. Dumnorige era molto potente presso i Sequani per il favore di cui godeva e per le sue elargizioni, ed era amico degli Elvezi perché aveva preso in moglie una elvetica, la figlia di Orgetorige; inoltre, spinto dalla brama di regnare, tendeva a novità politiche e voleva, mediante i benefici resi, tenere legati a sé quanti più popoli possibile. Perciò, si assume l'incarico e ottiene che i Sequani concedano agli Elvezi il permesso di transito e che le due parti si scambino ostaggi: i Sequani per non ostacolare gli Elvezi durante l'attraversamento del paese, gli Elvezi per attraversarlo senza provocare offese o danni. |
356 | In omni Gallia eorum hominum, qui aliquo sunt numero atque honore, genera sunt duo. Nam plebes paene servorum habetur loco, quae nihil audet per se, nullo adhibetur consilio. Plerique, cum aut aere alieno aut magnitudine tributorum aut iniuria potentiorum premuntur, sese in servitutem dicant nobilibus: in hos eadem omnia sunt iura, quae dominis in servos. Sed de his duobus generibus alterum est druidum, alterum equitum. Illi rebus divinis intersunt, sacrificia publica ac privata procurant, religiones interpretantur: ad hos magnus adulescentium numerus disciplinae causa concurrit, magnoque hi sunt apud eos honore.Nam fere de omnibus controversiis publicis privatisque constituunt, et, si quod est admissum facinus, si caedes facta, si de hereditate, de finibus controversia est, idem decernunt, praemia poenasque constituunt; si qui aut privatus aut populus eorum decreto non stetit, sacrificiis interdicunt. Haec poena apud eos est gravissima. Quibus ita est interdictum, hi numero impiorum ac sceleratorum habentur, his omnes decedunt, aditum sermonemque defugiunt, ne quid ex contagione incommodi accipiant, neque his petentibus ius redditur neque honos ullus communicatur. His autem omnibus druidibus praeest unus, qui summam inter eos habet auctoritatem. Hoc mortuo aut si qui ex reliquis excellit dignitate succedit, aut, si sunt plures pares, suffragio druidum, nonnumquam etiam armis de principatu contendunt. Hi certo anni tempore in finibus Carnutum, quae regio totius Galliae media habetur, considunt in loco consecrato. Huc omnes undique, qui controversias habent, conveniunt eorumque decretis iudiciisque parent. Disciplina in Britannia reperta atque inde in Galliam translata esse existimatur, et nunc, qui diligentius eam rem cognoscere volunt, plerumque illo discendi causa proficiscuntur. | In tutta la Gallia ci sono due classi di quegli uomini sono tenuti in qualche conto e rispetto. Infatti la plebe, che nulla osa di sua iniziativa, è considerata quasi alla stregua degli schiavi, nun partecipa a nessuna decisione. molti, essendo oppressi o dai debiti o dal peso delle tasse o della prepotenza dei potenti, si danno schiavi ai nobili, verso questi ogni diritto è lo stesso che i signori (hanno) verso gli schiavi. Ma di queste due classi una è quella dei druidi, l'altra quella dei cavalieri. Quelli attendono alle funzioni religiose, fanno i sacrifici pubblici e privati, risolvono le questioni religiose; da loro accorre un gran numero di giovani per imparare, e questi godono di grande reputazione presso quelli. Infatti decidono quasi di ogni controversia pubblica e privata e, se viene commesso un qualche delitto, se è stata fatta una qualche uccisione, se c'è qualche controversia circa l'eredità, sui confini, loro stessi decidono e stabiliscono i risarcimenti e le punizioni; se qualcuno, o privato o popolo, non si è sottomesso alla loro deliberazione, lo interdicono dai sacrifici. Questa pena presso di loro è considerata gravissima. Coloro che sono stai interdetti, vengono considerati nel numero degli empi e scellerati, tutti li sfuggono, sfuggono il contatto e il discorso con loro, per non ricevere un qualche danno dal loro contatto, né, se questi la chiedono, viene resa giustizia né si conferisce alcun carica politica. Ma uno solo, che ha tra loro la suprema autorità, è superiore a tutti questi druidi. Morto questo, o, se qualcuno fra gli altri eccelle in merito, gli succede; o se ci sono molti uguali, si elegge con la votazione dei druidi, e talvolta si disputano sulla suprema autorità anche con le armi. Questi, in un periodo stabilito dell'anno, si riuniscono nel nel territorio dei Carnuti, regione la quale è considerata al centro di tutta la Gallia. Qui da ogni parte convengono tutti quelli che hanno controversie, ed ubbidiscono ai loro decreti e alle loro deliberazioni. Si reputa che questa dottrina sia nata in Britannia e che poi sia stata portata in Gallia, ed ora, quelli che vogliono conoscere questa disciplina più approfonditamente, perlopiù si recano là per impararla. |
292 | Mellitos oculos tuos, Iuventi,si quis me sinat usque basiare,usque ad milia basiem trecenta,nec numquam videar satur futurus,non si densior aridis aristissit nostrae seges osculationis | Se qualcuno, o Giovenzio, mi lasciasse baciare i tuoi occhi di miele, li bacerei trecentomila volte, non mi sembrerebbe mai di esserne sazio anche se il numero dei baci fosse di più delle spighe mature |
749 | His copiis fidens Achillas paucitatemque militum Caesaris despiciens occupabat Alexandriam praeter eam oppidi partem, quam Caesar cum militibus tenebat, primo impetu domum eius irrumpere conatus; sed Caesar dispositis per vias cohortibus impetum eius sustinuit. Eodemque tempore pugnatum est ad portum, ac longe maximam ea res attulit dimicationem. Simul enim diductis copiis pluribus viis pugnabatur, et magna multitudine naves longas occupare hostes conabantur; quarum erant L auxilio missae ad Pompeium proelioque in Thessalia facto domum redierant, quadriremes omnes et quinqueremes aptae instructaeque omnibus rebus ad navigandum, praeter has XXII, quae praesidii causa Alexandriae esse consuerant, constratae omnes; quas si occupavissent, classe Caesari erepta portum ac mare totum in sua potestate haberent, commeatu auxiliisque Caesarem prohiberent.Itaque tanta esta contentione actum, quanta agi debuit, cum illi celerem in ea re victoriam, hi salutem suam consistere viderent. Sed rem obtinuit Caesar omnesque eas naves et reliquas, quae erant in navalibus, incendit, quod tam late tueri parva manu non poterat, confestimque ad Pharum navibus milites exposuit. | Confidando su tali milizie e disprezzando l'esiguo numero dei soldati di Cesare, Achilla occupava Alessandria, tranne quella parte della città che era in mano a Cesare a ai suoi soldati. Con un primo assalto tentò di fare irruzione nella casa di Cesare, ma questi sostenne il suo attacco grazie a delle coorti disposte lungo le vie. E nel medesimo tempo si combatté presso il porto e questo fu il combattimento di gran lunga più pesante. Contemporaneamente, divisesi le forze in drappelli, si combatteva anche in parecchie vie e i nemici con un gran numero di soldati tentavano di impadronirsi delle navi da guerra. Fra queste ve ne erano cinquanta mandate in aiuto a Pompeo, che, terminata la guerra in Tessaglia, erano tornate a casa, tutte quadriremi e quinqueremi allestite e completamente equipaggiate per la navigazione; oltre a queste ve ne erano ventidue, tutte coperte, che erano solite stare di presidio ad Alessandria. Se i nemici se ne fossero impadroniti, una volta sottratta a Cesare la flotta, sarebbero stati padroni del porto e di tutto il mare e avrebbero impedito a Cesare i vettovagliamenti e l'arrivo di aiuti. E così si combatté con tanto accanimento quanto era dovuto, vedendo nella lotta gli uni una veloce vittoria, gli altri la chiave della loro salvezza. Ma Cesare ebbe la meglio e incendiò tutte quelle navi e le rimanenti che erano nei bacini, poiché con poche truppe non era possibile la difesa di uno spazio così ampio, e subito sbarcò i soldati presso Faro. |
544 | Pugnatum est ab utrisque acriter. Nostri tamen, quod neque ordines servare neque firmiter insistere neque signa subsequi poterant atque alius alia ex navi quibuscumque signis occurrerat se adgregabat, magnopere perturbabantur; hostes vero, notis omnibus vadii, ubi ex litore aliquos singulares ex navi egredientes conspexerant, incitatis equis impeditos adoriebantur, plures paucos circumsistebant, alii ab latere aperto in universos tela coiciebant.Quod cum animadvertisset Caesar, scaphas longarum navium, item speculatoria navigia militibus compleri iussit, et quos laborantes conspexerat, his subsidia submittebat. Nostri, simul in arido constiterunt, suis omnibus consecutis, in hostes impetum fecerunt atque eos in fugam dederunt; neque longius prosequi potuerunt, quod equites cursum tenere atque insulam capere non potuerant. Hoc unum ad pristinam fortunam Caesari defuit. | Si combatté con accanimento da entrambe le parti. I nostri, tuttavia, erano in preda allo scompiglio, non riuscendo a mantenere lo schieramento, ad attestarsi saldamente, a seguire le proprie insegne, in quanto ciascuno, appena sbarcato, si univa alle prime in cui si imbatteva. I nemici, invece, che conoscevano tutti i bassifondi, non appena dal litorale vedevano alcuni dei nostri sbarcare isolati dalle navi, lanciavano i cavalli al galoppo e alla carica dei legionari in difficoltà: molti dei loro circondavano pochi dei nostri, mentre altri dal fianco destro, scagliavano un nugolo di frecce sul grosso dello schieramento. Cesare, appena se ne accorse, ordinò di riempire di soldati le scialuppe delle navi da guerra e i battelli da ricognizione e li inviò in aiuto di chi aveva visto in difficoltà. I nostri, non appena riuscirono ad attestarsi sulla terraferma, formati i ranghi, passarono al contrattacco e costrinsero alla fuga gli avversari, ma non ebbero modo di protrarre l'inseguimento, perché le navi con la cavalleria avevano perso la rotta e non erano riuscite a raggiungere l'isola: solo questo mancò alla solita buona stella di Cesare. |
873 | Diebus circiter XV, quibus in hiberna ventum est, initium repentini tumultus ac defectionis ortum est ab Ambiorige et Catuvolco; qui, cum ad fines regni sui Sabino Cottaeque praesto fuissent frumentumque in hiberna comportavissent, Indutiomari Treveri nuntiis impulsi suos concitaverunt subitoque oppressis lignatoribus magna manu ad castra oppugnatum venerunt. Cum celeriter nostri arma cepissent vallumque adscendissent atque una ex parte Hispanis equitibus emissis equestri proelio superiores fuissent, desperata re hostes suos ab oppugnatione reduxerunt.Tum suo more conclamaverunt, uti aliqui ex nostris ad colloquium prodiret: habere sese, quae de re communi dicere vellent, quibus rebus controversias minui posse sperarent. | Circa quindici giorni dopo l'arrivo agli accampamenti invernali, improvvisamente scoppiò un'insurrezione guidata da Ambiorige e Catuvolco. Costoro si erano presentati al confine dei loro territori, a disposizione di Sabino e di Cotta e avevano consegnato grano all'accampamento; in seguito, però, spinti dai messi del trevero Induziomaro, avevano chiamato i loro a raccolta e, sopraffatti i nostri legionari in cerca di legna, con ingenti forze avevano stretto d'assedio il campo. Mentre i nostri impugnavano rapidamente le armi e salivano sul vallo, i cavalieri spagnoli, usciti da una porta del campo, sferravano un attacco in cui ebbero la meglio: gli avversari, persa ogni speranza di vittoria, furono costretti a togliere l'assedio. Poi, a gran voce, come è loro costume, chiesero che qualcuno dei nostri si facesse avanti per parlamentare: avevano da riferire informazioni d'interesse comune, grazie alle quali speravano di poter risolvere i contrasti. |
199 | Quibus cognitis rebus Pompeius deposito adeundae Syriae consilio pecunia societatis sublata et a quibusdam privatis sumpta et aeris magno pondere ad militarem usum in naves imposito duobusque milibus hominum armatis, partim quos ex familiis societatum delegerat, partim a negotiatoribus coegerat, quosque ex suis quisque ad hanc rem idoneos existimabat, Pelusium pervenit. Ibi casu rex erat Ptolomaeus, puer aetate, magnis copiis cum sorore Cleopatra bellum gerens, quam paucis ante mensibus per suos propinquos atque amicos regno expulerat; castraque Cleopatrae non longo spatio ab eius castris distabant.Ad eum Pompeius misit, ut pro hospitio atque amicitia patris Alexandria reciperetur atque illius opibus in calamitate tegeretur. Sed qui ab eo missi erant, confecto legationis officio liberius cum militibus regis colloqui coeperunt eosque hortari, ut suum officium Pompeio praestarent, neve eius fortunam despicerent. In hoc erant numero complures Pompei milites, quos ex eius exercitu acceptos in Syria Gabinius Alexandriam traduxerat belloque confecto apud Ptolomaeum, patrem pueri, reliquerat.His tum cognitis rebus amici regis, qui propter aetatem eius in procuratione erant regni, sive timore adducti, ut postea praedicabant, sollicitato exercitu regio ne Pompeius Alexandriam Aegyptumque occuparet, sive despecta eius fortuna, ut plerumque in calamitate ex amicis inimici exsistunt, his, qui erant ab eo missi, palam liberaliter responderunt eumque ad regem venire iusserunt; ipsi clam consilio inito Achillam, praefectum regium, singulari hominem audacia, et L. Septimium, tribunum militum, ad interficiendum Pompeium miserunt. Ab his liberaliter ipse appellatus et quadam notitia Septimii productus, quod bello praedonum apud eum ordinem duxerat, naviculam parvulam conscendit cum paucis suis: ibi ab Achilla et Septimio interficitur. Item L. Lentulus comprehenditur ab rege et in custodia necatur. | Conosciute queste cose (Pompeo capisce che in Asia non c’è posto per lui e cambia itinerario), Pompeo, abbandonato il piano di raggiungere la Siria, riscosso il denaro dalle compagnie (dei pubblicani) e preso a prestito da alcuni privata e caricata una grande quantità di denaro (metonimia: denaro al posto di bronzo)sulle navi per le spese militari, e armati duemila uomini, che in parte aveva raccolto dai commercianti, quelli che ognuno riteneva tra i suoi idonei per questa impresa, arrivò a Pelusio. Lì, per caso, si trovava il re Tolomeo, ancora ragazzo, che faceva guerra con grandi truppe contro la sorella Cleopatra, che aveva scacciato pochi mesi prima per mezzo dei suoi amici e parenti dal regno; e l’accampamento di Cleopatra non distava molto dal suo accampamento (di Tolomeo). Pompeo gli mandò dei messaggeri per chiedere che fosse accolto ad Alessandria in cambio dell’ospitalità e dell’amicizia del padre, e che fosse protetto nella disgrazia dalle sue risorse.Ma coloro che erano stati inviati da lui, concluso l’incarico dell’ambasceria, cominciarono a parlare alquanto liberamente con i soldati del re, e ad esortarli a dare il loro aiuto a Pompeo, e a non disprezzare la sua sfortuna.In questo gruppo c’erano parecchi soldati di Pompeo che accolti dal suo esercito in Siria, Gabinio aveva condotto ad Alessandria e, conclusa la guerra, presso Tolomeo, padre del ragazzo, aveva lasciato.Dopo aver conosciuto queste cose, gli amici del re che erano, a causa della sua giovane età, al governo del regno, sia spinti dal timore, come in seguito andavo dicendo, sobillato l’esercito del re, che Pompeo occupasse Alessandria e L’Egitto, sia disprezzata la sua sfortuna, come generalmente nella sventura dagli amici emergono i nemici, a quelli che da lui erano stati inviati, gentilmente e apertamente risposero e gli comandarono di venire dal re. Loro stessi, di nascosto, presa l’iniziativa, mandarono Achilla, prefetto del re, uomo di eccezionale spregiudicatezza, e Settimio, tribuno militare, per uccidere Pompeo. Pompeo, avvicinato in modo cortese da costoro e incoraggiato da un certo rapporto di confidenza con Settimio, poiché durante la guerra piratica costui aveva guidato un reparto del suo esercito, salì con pochi dei suoi su una piccola nave; qui viene ucciso da Achilla e da Settimio. Parimenti L. Lentulo viene fatto catturare dal re e ucciso in carcere. |
116 | Quam cum magis intuerer: “Quaeso”, inquit Africanus, “quousque humi defixa tua mens erit?Nonne aspicis quae in templa veneris? Novem tibi orbibus vel potius globis conexa sunt omnia,quorum unus caelestis est, extumus, qui reliquos omnes complectitur, summus ipse deus arcens etcontinens ceteros; in quo sunt infixi illi qui volvuntur stellarum cursus sempiterni. Cui subiectisunt septem globo qui versantur retro contrario motu atque caelum.Ex quibus summum globumpossidet illa quam in terris Saturniam nominant; deinde est hominum generi prosperus etsalutaris ille fulgor qui dicitur Iovis; tum rutilus horribilisque terris quem Martium dicitis;deinde subter mediam fere regionem sol obtinet, dux et princeps et moderator luminumreliquorum, mens mundi et temperatio, tanta magnitudine ut cuncta sua luce lustret et compleat.Hunc ut comites consequuntur Veneris alter, alter Mercurii cursus, in infimoque orbe luna radiisSolis accensa convertitur. Infra autem iam nihil est nisi mortale et caducum praeter animosmunere deorum hominum generi datos; supra Lunam sunt aeterna omnia. Nam ea stella quae estmedia et nona, Tellus, neque movetur et infima est, et in eam feruntur omnia nutu suo pondera”. | Poiché guardavo la Terra con troppa insistenza, l’Africano disse: “Ti chiedo fino a quando la tua mente rimarrà fissa a terra?Non vedi in quali spazi celesti sei giunto? Eccoti l’Universo è composto di 9 orbite, anzi, di 9 sfere delle quali una sola è celeste, l’ultima, che comprende tutte le alter: è lo stesso sommo dio che racchiude e contiene le altre; in essa sono confitte le sempiterne orbite circolari delle stelle che girano. E adesso sono sottoposte 7 sfere che ruotano in direzione opposta con movimento contrario a quello del cielo. E di queste sfere una è occupata dal pianeta chiamato, sulla Terra, Saturno; poi si trova quel fulgido astro che è chiamato Giove –propizio e apportatore di salute per il genere umano. Poi quell’astro rosseggiante e funesto per la Terra, che chiamate Marte; al di sotto, quindi, occupa la regione all’incirca di mezzo, il Sole, guida, sovrano e regolatore degli altri astri, mente del mondo e principio regolatore, di tanta magnitudine e grandezza, che illumina e avvolge con la sua luce tutti gli altri corpi celesti. Lo seguono come satelliti da una parte l’orbita di Venere, dall’altra l’orbita di Mercurio, mentre nell’orbita più bassa ruota la Luna, illuminata dai raggi del Sole. Al di sotto, poi, non esiste più nulla, se non mortale e caduco, eccetto anime assegnate al genere umano per dono degli dei; al di sopra della Luna tutto è eterno. E infatti quella stella che è centrale e nona la Terra, non si muove ed è più bassa e verso di essa sono attratti tutti i pesi per la loro propria forza di gravità. |
86 | “Hic tu, Africane, ostendas oportebit patriae lumen animi, ingenii consiliique tui. Sed eius temporis ancipitem video quasi fatorum viam. Nam cum aetas tua septenos octiens solis anfractus reditusque converterit, duoque hi numeri, quorum uterque plenus alter altera de causa habetur, circuitu naturali summam tibi fatalem confecerint, in te unum atque in tuum nomen se tota convertet civitas, te senatus, te omnes boni, te socii, te Latini intuebuntur, tu eris unus, in quo nitatur civitatis salus; ac ne multa: dictator rem publicam constituas oportet, si impias propinquorum manus effugeris”.Hic cum exclamasset Laelius ingemuissentque vehementius ceteri, leniter arridens Scipio: “St! quaeso” inquit “ne me e somno excitetis” et parum rebus: “audite cetera.” | “A questo punto tu, Africano, dovrai mostrare alla patria la luce del tuo coraggio, del tuo ingegno, della tua sicurezza.Ma di quel momento vedo la via del destino quasi volta in due direzioni. Infatti quando la tua età avrà compiuto per 8 volte 7 giri e rivoluzioni del sole e questi due numeri, dei quali l’uno e l’altro son considerati perfetti per ragioni diverse, avranno compiuto col loro naturale percorso la somma d’anni a te voluta dal fato, tutta la città a te solo e al tuo nome si rivolgerà, su di te il senato, su di te tutti i cittadini onesti, su di te gli alleati, su di te i latini volgeranno lo sguardo, tu sarai il solo su cui potrà poggiarsi la salvezza della città; per non dire di più, è necessario che come dittatore, tu riordini lo Stato, se riuscirai a fuggire alle empie mani dei tuoi parenti”. A questo punto, avendo Lelio gettato un grido ed essendosi gli altri lamentati troppo fortemente, Scipione, sorridendo disse: “St! silenzio. Non risvegliatemi dal mio sonno e ancora per un momento ascoltate il resto.” |
4 | Magnus es, Domine, et laudabilis valde: magna virtus tua et sapientiae tuae non est numerus. Et laudare te vult homo, aliqua portio creaturae tuae, et homo circumferens mortalitatem suam, circumferens testimonium peccati sui et testimonium, quia superbis resistis; et tamen laudare te vult homo, aliqua portio creaturae tuae. Tu excitas, ut laudare te delectet, quia fecisti nos ad te et inquietum est cor nostrum, donec requiescat in te. Da mihi, Domine, scire et intellegere, utrum sit prius invocare te an laudare te et scire te prius sit an invocare te.Sed quis te invocat o nesciens te? Aliud enim pro alio potest invocare nesciens. An potius invocaris, ut sciaris? Quomodo autem invocabunt, in quem non crediderunt? Aut quomodo credunt sine praedicante? Et laudabunt Dominum qui requirunt eum. Quaerentes enim inveniunt eum et invenientes laudabunt eum. Quaeram te, Domine, invocans te et invocem te credens in te; praedicatus enim es nobis. Invocat te, Domine, fides mea, quam dedisti mihi, quam inspirasti mihi per humanitatem Filii tui, per ministerium praedicatoris tui. | Grande sei, o Signore, e molto degno di lode: grande (è) la tua capacità, e non c’è limite alla tua sapienza. E l’uomo, una piccola porzione della tua creazione, vuole lodarti, l’uomo che porta in giro la propria mortalità, che porta in giro la testimonianza del proprio peccato e la testimonianza che (tu) resisti ai superbi: e tuttavia l’uomo, una piccola porzione della tua creazione, vuole lodarti. Tu fai in modo che si provi gioia nel lodarti, poiché hai creato noi per Te, ed il nostro cuore è inquieto finché non trovi quiete in te. Concedimi, o Signore, di sapere e di capire, se sia prima l’invocarti oppure il lodarti, e se venga prima il conoscerti o l’invocarti. Ma chi, se (prima) non ti conosce, ti invoca? Infatti non conoscendo(ti) può invocare l’uno per l’altro. O piuttosto sei invocato per essere conosciuto? In che modo, poi, invocheranno (colui) nel quale non hanno creduto? O in che modo invocheranno senza chi annunci? E coloro i quali lo cercano, loderanno il Signore. Infatti, cercando(lo), lo trovano, e trovando(lo) lo loderanno. Che io ti cerchi, o Signore, invocandoti, e che io ti invochi, credendo in Te: infatti a noi sei stato annunciato. La mia fede, o Signore, ti invoca, quella che mi hai dato, quella che mi hai instillato attraverso l’umanità del tuo figlio, attraverso l’impiego del tuo annunciatore. |
1,012 | Qua re per exploratores cognita summo labore militum Caesar continuato diem noctemque opere in flumine avertendo huc iam rem deduxerat, ut equites, etsi difficulter atque aegre fiebat, possent tamen atque auderent flumen transire, pedites vero tantummodo umeris ac summo pectore exstarent et cum altitudine aquae tum etiam rapiditate fluminis ad transeundum impedirentur. Sed tamen eodem fere tempore pons in Hibero prope effectus nuntiabatur, et in Sicori vadum reperiebatur. | Venuto a conoscenza della cosa tramite esploratori, Cesare, con durissimo lavoro dei soldati, senza posa di giorno e di notte, era giunto a tal punto nel deviare il fiume, che i cavalieri, sebbene con difficoltà e a stento, potevano tuttavia osarne l'attraversamento, ma i fanti stavano fuori solo con le spalle e la parte superiore del petto ed erano ostacolati nel passaggio dall'altezza delle acque e talora anche dalla rapidità delle correnti. Ma tuttavia quasi nel medesimo tempo veniva diffusa la notizia che il ponte sull'Ebro era quasi completato e che si era trovato un guado nel Sicori. |
405 | Caesar, cum iniquo loco pugnari hostiumque augeri copias videret, praemetuens suis ad Titum Sextium legatum, quem minoribus castris praesidio reliquerat, misit, ut cohortes ex castris celeriter educeret et sub infimo colle ab dextro latere hostium constitueret, ut, si nostros loco depulsos vidisset, quo minus libere hostes insequerentur terreret. Ipse paulum ex eo loco cum legione progressus, ubi constiterat, eventum pugnae exspectabat. | Cesare si rese conto che la posizione era svantaggiosa e che le truppe nemiche continuavano ad aumentare. Allora, in apprensione per i suoi, inviò al legato T. Sestio, rimasto a presidio del campo minore, l'ordine di far uscire rapidamente le sue coorti e di schierarle sul fianco destro del nemico, ai piedi del colle: se i nostri venivano respinti, doveva atterrire il nemico per rendergli difficile l'inseguimento. Rispetto al luogo in cui si era fermato, Cesare aveva guidato la legione leggermente più avanti e attendeva l'esito della battaglia. |
574 | Hoc explorato loco Curio castra Vari conspicit muro oppidoque coniuncta ad portam, quae appellatur Belica, admodum munita natura loci, una ex parte ipso oppido Utica, altero a theatro, quod est ante oppidum, substructionibus eius operis maximis, aditu ad castra difficili et angusto. Simul animadvertit multa undique portari atque agi plenissimis viis, quae repentini tumultus timore ex agris in urbem conferantur. Huc equitatum mittit, ut diriperet atque haberet loco praedae; eodemque tempore his rebus subsidio DC Numidae ex oppido peditesque CCCC mittuntur a Varo, quos auxilii causa rex Iuba paucis diebus ante Uticam miserat.Huic et paternum hospitium cum Pompeio et simultas cum Curione intercedebat, quod tribunus plebis legem promulgaverat, qua lege regnum Iubae publicaverat. Concurrunt equites inter se; neque vero primum impetum nostrorum Numidae ferre potuerunt, sed interfectis circiter CXX reliqui se in castra ad oppidum receperunt. Interim adventu longarum navium Curio pronuntiare onerariis navibus iubet, quae stabant ad Uticam numero circiter CC, se in hostium habiturum loco, qui non e vestigio ad castra Cornelia naves traduxisset. Qua pronuntiatione facta temporis puncto sublatis ancoris omnes Uticam relinquunt et quo imperatum est transeunt. Quae res omnium rerum copia complevit exercitum. | Esplorata questa località, Curione vede il campo di Varo addossato al muro della città presso la porta che è detta Belica, assai protetto dalla natura del luogo, da una parte dalla stessa città di Utica, dall'altra dal teatro che si trova davanti alla città, essendo l'accesso all'accampamento difficile e stretto poiché le fondamenta del teatro sono immense. Contemporaneamente s'accorge che molte merci, che per timore di un repentino tumulto sono condotte dalla campagna nella città, vengono portate da ogni parte e che le vie sono stipate. Manda qui la cavalleria per fare preda e saccheggio; contemporaneamente per proteggere quel convoglio Varo manda dalla città seicento cavalieri numidi e quattromila fanti che il re Giuba pochi giorni prima aveva inviato in aiuto a Utica. Costui aveva con Pompeo rapporti di amicizia per l'ospitalità a lui data dal padre e un sentimento di rancore verso Curione, poiché quando questi era tribuno della plebe aveva promulgato una legge con la quale aveva proposto di confiscare il regno di Giuba. I cavalieri si scontrano e invero i Numidi non poterono reggere il primo assalto dei nostri, ma, dopo che ne rimasero uccisi circa centoventi, gli altri si rifugiarono nel campo presso la città. Frattanto all'arrivo delle navi da guerra Curione ordina che sia comunicato alle navi da carico, che stavano davanti a Utica in numero di circa duecento, che egli avrebbe considerato nemici coloro i quali non avessero immediatamente indirizzato le navi verso il campo Cornelio. Fatta questa intimazione, levate in un istante le ancore, tutte le navi lasciano Utica e si recano dove è stato comandato. Tale azione procurò all'esercito abbondanza di ogni cosa. |
127 | Locutus est pro his Diviciacus Haeduus: Galliae totius factiones esse duas: harum alterius principatum tenere Haeduos, alterius Arvernos. Hi cum tantopere de potentatu inter se multos annos contenderent, factum esse uti ab Arvernis Sequanisque Germani mercede arcesserentur. Horum primo circiter milia xv Rhenum transisse; posteaquam agros et cultum et copias Gallorum homines feri ac barbari adamassent, traductos plures; nunc esse in Gallia ad centum et viginti milium numerum.Cum his Haeduos eorumque clientes semel atque iterum armis contendisse;magnam calamitatem pulsos accepisse, omnem nobilitatem, omnem senatum, omnem equitatum amisisse. Quibus proeliis calamitatibusque fractos, qui et sua virtute et populi Romani hospitio atque amicitia plurimum ante in Gallia potuissent, coactos esse Sequanis obsides dare nobilissimos civitatis et iure iurando civitatem obstringere, sese neque obsides repetituros neque auxilium a populo Romano imploraturos neque recusaturos, quominus perpetuo sub illorum dicione atque imperio essent. | Parlò poi l'Eduo Diviziaco,(disse che) le fazioni di tutta la Gallia sono due: di queste il dominio lo tengono gli Edui,dell'altra gli Arverni. Poichè questi contendevano accesamente tra di loro per la supremazia da molti anni, accade che dagli Arverni e dai Sequani vennero chiamati come mecenati i Germani. In un primo tempo circa quindicimila di costoro avevano attraversato il Reno, ma giacchè essi, uomini fieri e barbari, si erano invaghiti dei campi e della coltura e dell'abbondanza dei Galli, si trasferirono più numerosi; ora nella Gallia sono ad un numero di centoventi mila uomini. Con questi vennero più volte a contesa in armi gli Edui ed i loro clienti;respinti subirono un grave danno: persero tutta la nobiltà, tutto il Senato, tutta la cavalleria. |
980 | Haec cogitanti accidere visa est facultas bene rei gerendae. Nam cum in minora castra operis perspiciendi causa venisset, animadvertit collem, qui ab hostibus tenebatur, nudatum hominibus, qui superioribus diebus vix prae multitudine cerni poterat. Admiratus quaerit ex perfugis causam, quorum magnus ad eum cotidie numerus confluebat. Constabat inter omnes, quod iam ipse Caesar per exploratores cognoverat, dorsum esse eius iugi prope aequum, sed hunc silvestrem et angustum, qua esset aditus ad alteram partem oppidi; huic loco vehementer illos timere nec iam aliter sentire, uno colle ab Romanis occupato, si alterum amisissent, quin paene circumvallati atque omni exitu et pabulatione interclusi viderentur: ad hunc muniendum omnes a Vercingetorige evocatos. | Mentre era immerso in tali pensieri, gli parve presentarsi un'occasione favorevole. Infatti, quando giunse al campo minore per ispezionare i lavori, notò che un colle, prima in mano nemica, era adesso sguarnito, mentre nei giorni precedenti lo si poteva appena scorgere, tanti erano i soldati che lo presidiavano. La cosa lo colpì e ne chiese spiegazione ai disertori, che ogni giorno arrivavano al nostro campo in gran numero. Da tutti risultava che, come Cesare già sapeva dagli esploratori, il dorso del colle era quasi in piano, ma stretto e pieno di vegetazione nella parte che conduceva dall'altro lato della città. I Galli nutrivano forti apprensioni per questo punto e sapevano bene che si sarebbero visti praticamente circondati, con ogni via d'uscita preclusa e i foraggiamenti tagliati, se i Romani, già padroni di un colle, avessero preso anche quest'altro. Quindi Vercingetorige aveva chiamato tutti a munire la zona. |
72 | Vivamus, mea Lesbia, atque amemusRumoresque senum severiorumOmnes unius aestimemus assis.Soles occidere et redire possunt:nobis cum semel occidit brevis lux,nox est perpetua una dormienda.Da mi basìa mille, deinde centum,dein mille altera, dein secunda centumdeinde usque altera mille, deinde centum.Dein, cum milia multa fecerimus,conturbabimus illa, ne sciamus,aut nequis malus invidere possit,cum tantum sciat esse basiorum | Viviamo, mia Lesbia, e amiamoi brontolii dei vecchi troppi uggiosi consideriamoli tutti un solo asse.I Giorni possono tramontare e poi nascere:noi, una volta che la breve luce è tramontata,dobbiamo dormire un’unica notte senza fine.Dammi mille baci, ancora cento,mille altri ancora, e poi di nuovo cento,e continuamente altri mille, e ancora cento.Poi, quando ne avremo sommati molte migliaia,ne faremo un mucchio confuso,per non sapere,affinchè nessun invidioso ci possa fare il malocchiose viene a sapere un cosi gran numero di baci. |
591 | Cum in his angustiis res esset, atque omnes viae ab Afranianis militibus equitibusque obsiderentur, nec pontes perfici possent, imperat militibus Caesar, ut naves faciant, cuius generis eum superioribus annis usus Britanniae docuerat. Carinae ac prima statumina ex levi materia fiebant; reliquum corpus navium viminibus contextum coriis integebatur. Has perfectas carris iunctis devehit noctu milia passuum a castris XXII militesque his navibus flumen transportat continentemque ripae collem improviso occupat.Hunc celeriter, priusquam ab adversariis sentiatur, communit. Huc legionem postea traicit atque ex utraque parte pontem instituit, biduo perficit. Ita commeatus et qui frumenti causa processerant tuto ad se recipit et rem frumentariam expedire incipit. | Essendo la situazione così difficile e tutte le vie essendo occupate dai soldati e dai cavalieri di Afranio e non potendo essere ricostruiti i ponti, Cesare ordina ai soldati di fabbricare navi di quel tipo che l'esperienza britannica negli anni passati gli aveva fatto conoscere. Le chiglie e l'ossatura erano fatte di legno leggero; il rimanente corpo delle navi era intessuto di vinchi e rivestito di pelli. Quando sono compiute, di notte le fa portare, con dei carri uniti, a circa ventidue miglia dall'accampamento e con queste navi trasporta i soldati al di là del fiume e occupa di sorpresa il colle vicino alla riva. Lo fortifica in fretta prima che gli avversari se ne accorgano. Poi trasporta qui la legione e in due giorni, lavorando da entrambi i lati, fa completare il ponte. E così senza pericolo fa arrivare presso di sé i viveri e coloro che erano usciti in cerca di frumento, incominciando a rendere più facile l'approvvigionamento. |
268 | Si cui iure bono sacer alarum obstitit hircus,aut si quem merito tarda podagra secataemulus iste tuus, qui vestrum exercet amorem,mirifice est a te nactus utrumque malum.nam quotiens futuit, totiens ulciscitur ambos:illam affligit odore, ipse perit podagra. | Se giustamente la puzza di caprone delle ascelle l'ostacolao se a ragione la gotta che rallenta lo tormenti,questo tuo rivale, che si fotte la tua amante,stranamente ha contratto da te entrambi i malanni.Cosí tutte le volte che scopa, vendica entrambi:con la puzza affligge lei e lui muore di gotta. |
186 | Sed ubi omnibus rebus exploratis Petreius tuba signum dat, cohortis paulatim incedere iubet; idem facit hostium exercitus. Postquam eo ventum est, unde a ferentariis proelium committi posset, maximo clamore cum infestis signis concurrunt; pila omittunt, gladiis res geritur. Veterani pristinae virtutis memores comminus acriter instare, illi haud timidi resistunt: maxima vi certatur. Interea Catilina cum expeditis in prima acie versari, laborantibus succurrere, integros pro sauciis arcessere, omnia providere, multum ipse pugnare, saepe hostem ferire: strenui militis et boni imperatoris officia simul exequebatur.Petreius ubi videt Catilinam, contra ac ratus erat, magna vi tendere, cohortem praetoriam in medios hostis inducit eosque perturbatos atque alios alibi resistentis interficit. Deinde utrimque ex lateribus ceteros aggreditur. Manlius et Faesulanus in primis pugnantes cadunt. Catilina postquam fusas copias seque cum paucis relicuum videt, memor generis atque pristinae suae dignitatis in confertissimos hostis incurrit ibique pugnans confoditur. | Ma quando, dopo aver controllato tutto, Petreio dà con la tromba il segnale dell'attacco, fa avanzare lentamente l'esercito; l'esercito dei nemici fa la stessa cosa. Dopo che si giunse in quel punto da cui la battaglia potesse essere intrapresa dai soldati armati alla leggera, accorrono levando altissime grida, con le insegne rivolte al nemico; lasciano da parte i giavellotti, affrontano la battaglia con le spade. I veterani, memori dell'antico valore, incalzano acremente da vicino, corpo a corpo, quelli impavidi resistono: si combatte con grande forza (grandissimo accanimento). Nel frattempo Catilina si aggira nella prima schiera con la fanteria leggera, soccorre quelli in difficoltà, chiama al posto dei feriti soldati freschi, provvede a tutto, lui stesso combatte molto, spesso ferisce il nemico: eseguiva al tempo stesso le funzioni di un soldato valoroso e di un buon generale. Petreio, quando vide, contrariamente a quello che aveva pensato, che Catilina si opponeva con grande forza, conduce la corte pretoria nel bel mezzo della schiera nemica e uccide sia quelli confusi, sia quelli che cercavano di resistere chi di qua chi di là. Quindi aggredisce tutti gli altri a entrambi i lati. Manlio e Fesolano cadono combattendo nelle prime file. Catilina dopo che si rende conto che le sue armate si sono ormai sgretolate e vede se stesso sopravvissuto con pochi, memore della sua stirpe e della sua antica dignità, si getta nel più folto dei nemici e lì viene mortalmente trafitto mentre combatte. |
728 | Vibullius expositus Corcyrae non minus necessarium esse existimavit de repentino adventu Caesaris Pompeium fieri certiorem, uti ad id consilium capere posset, antequam de mandatis agi inciperetur, atque ideo continuato nocte ac die itinere atque omnibus oppidis mutatis ad celeritatem iumentis ad Pompeium contendit, ut adesse Caesarem nuntiaret. Pompeius erat eo tempore in Candavia iterque ex Macedonia in hiberna Apolloniam Dyrrachiumque habebat. Sed re nova perturbatus maioribus itineribus Apolloniam petere coepit, ne Caesar orae maritimae civitates occuparet.At ille expositis militibus eodem die Oricum proficiscitur. Quo cum venisset, L. Torquatus, qui iussu Pompei oppido praeerat praesidiumque ibi Parthinorum habebat, conatus portis clausis oppidum defendere, cum Graecos murum ascendere atque arma capere iuberet, illi autem se contra imperium populi Romani pugnaturos esse negarent, oppidani autem etiam sua sponte Caesarem recipere conarentur, desperatis omnibus auxiliis portas aperuit et se atque oppidum Caesari dedidit incolumisque ab eo conservatus est. | Vibullio, dopo avere riferito queste proposte [a Corcira], ritenne non meno necessario informare Pompeo dell'improvviso arrivo di Cesare affinché potesse prendere decisioni in merito prima di iniziare a esaminare l'ambasceria. E così, senza interrompere il cammino né di giorno né di notte e, per andare veloce, cambiando i cavalli in tutte le stazioni, si dirige da Pompeo per annunziargli l'arrivo di Cesare. In quel momento Pompeo era a Caldavia e dalla Macedonia si dirigeva ad Apollonia e a Durazzo nei quartieri invernali. Ma, turbato dall'avvenimento inatteso, con marce più veloci cominciò a dirigersi ad Apollonia affinché Cesare non si impadronisse delle città della costa. Ma Cesare, sbarcate le truppe, nel medesimo giorno si dirige a Orico. Quando vi giunse, L. Torquato, che per ordine di Pompeo era a capo della città e qui teneva un presidio di Partini, fece chiudere le porte e tentò di difendere la città; quando ordinò ai Greci di salire sulle mura e di prendere le armi, quelli dissero di non avere intenzione di combattere contro l'autorità del popolo romano; poi spontaneamente i cittadini tentarono di accogliere Cesare. Torquato, perduta ogni speranza di aiuto, aprì le porte e consegnò la città e se stesso a Cesare, che lo lasciò incolume. |
179 | Maior pars mortalium, Pauline, de naturae malignitate conqueritur, quod in exiguum aevi gignimur, quod haec tam velociter, tam rapide dati nobis temporis spatia decurrant, adeo ut exceptis admodum paucis ceteros in ipso vitae apparatu vita destituat. Nec huic publico, ut opinantur, malo turba tantum et imprudens vulgus ingemuit; clarorum quoque virorum hic affectus querellas evocavit. Inde illa maximi medicorum exclamatio est: "vitam brevem esse, longam artem".Inde Aristotelis cum rerum natura exigentis minime conveniens sapienti viro lis: "aetatis illam animalibus tantum indulsisse, ut quina aut dena saecula educerent, homini in tam multa ac magna genito tanto citeriorem terminum stare". Non exiguum temporis habemus, sed multum perdidimus. Satis longa vita et in maximarum rerum consummationem large data est, si tota bene collocaretur; sed ubi per luxum ac neglegentiam diffluit, ubi nulli bonae rei impenditur, ultima demum necessitate cogente, quam ire non intelleximus transisse sentimus. Ita est: non accipimus brevem vitam sed fecimus, nec inopes eius sed prodigi sumus. Sicut amplae et regiae opes, ubi ad malum dominum pervenerunt, momento dissipantur, at quamvis modicae, si bono custodi traditae sunt, usu crescunt: ita aetas nostra bene disponenti multum patet. | La maggior parte dei mortali, o Paolino, si lamenta della cattiveria della natura, poiché siamo generati per un breve spazio di tempo, poiché questo spazio di tempo concessoci trascorre così rapidamente, così velocemente, a tal punto che, ad eccezione di pochissimi, la vita abbandona i restanti proprio mentre si preparano a vivere. Né solo la folla ed il volgo ignorante si lamentano per questo male, come si crede, in pubblico: questo stato d’animo suscitò lamentele persino di uomini celebri. Da lì quella famosa frase del più importante dei medici: “ la vita è breve, l’arte è lunga “; da lì nasce la contesa di Aristotele, che si adatta poco ad un uomo saggio, che disputa sulla natura: che quella ha concesso tanto tempo agli animali che trascorrono in vita cinque o dieci generazioni ciascuno, per l’uomo invece nato per imprese tanto numerose ed importanti è fissato un termine molto più breve. Non abbiamo poco tempo, ma ne sprechiamo molto. La vita è sufficientemente lunga e ci è stata data con generosità per la realizzazione delle imprese più grandi; ma quando si consuma con il lusso e la noncuranza, quando si spende in nessuna attività utile, quando infine l’estrema necessità ci costringe, capiamo che è trascorsa quella vita che non ci siamo accorti che è finita. Così è: non riceviamo una vita breve ma né ne siamo sprovvisti ma neppure ne siamo dissipatori. Come ricchezze ampie degne di un re si consumano in un momento, quando arrivano ad un cattivo padrone, ma, sebbene di poco conto, crescono con l’uso se sono tramandate da un buon custode, così la nostra età si estende bene a chi dispone molto. |
166 | Nulla potest mulier tantum se dicere amatamvere, quantum a me Lesbia amata mea est.Nulla fides ullo fuit umquam foedere tanta,quanta in amore tuo ex parte reperta mea est. | Nessuna donna può vantarsi di essere stata amata cosìsinceramente, quanto la mia Lesbia fu amata da me.Nessun patto fu mai rispettato così fedelmente,come, per tutto il tempo che ti amai, io per conto mio l'ho rispettato. |
173 | M.: Tìtyre, tù patulaè | recubàns sub tègmine fàgisìlvestrèm | tenuì Musàm | meditàris avèna;nòs patriaè finìs | et dùlcia lìnquimus àrva.Nòs patriàm fugimùs; | tu, Tìtyre, lèntus in ùmbrafòrmosàm | resonàre docès | Amarýllida sìlvas.T.: Ò Meliboèe, deùs | nobìs haec òtia fècit.nàmque erit ìlle mihì | sempèr deus, | ìllîus àramsaèpe tenèr nostrìs | ab ovìlibus ìmbuet àgnus.Ìlle meàs | erràre bovès, | ut cèrnis, et ìpsumlùdere quaè vellèm | calamò permìsit agrèsti.M.: Nòn equidem ìnvideò, | miròr magis: | ùndique tòtisùsque adeò | turbàtur agrìs.| En ìpse capèllaspròtinus aèger ago; hànc | etiàm vix, Tìtyre, dùco.Hìc intèr densàs | corylòs modo nàmque gemèllos,spèm gregis, à! | silice ìn nudà | conìxa relìquit.Saèpe malum hòc nobìs, | si mèns non laèva fuìsset,dè caelò tactàs | meminì praedìcere quèrcus.Sèd tamen ìste deùs | qui sìt, da, Tìtyre, nòbis. | Melibeo: O Titiro, tu, disteso sotto l’ombra di un ampio faggio, componi una silvestre melodia su una sottile zampogna; noi lasciamo le terre dei padri e i dolci campi; noi abbandoniamo la patria; tu, Titiro, adagiato nell’ombra, insegni alle selve a ripetere il nome d’Amarillide bella.Titiro: O Melibeo, un Dio creò per me questa pace: e per me egli sarà sempre un Dio; spesso un tenero agnello (uscito) dai miei ovili bagnerà di sangue il suo altare; egli permise che le mie giovenche vgassero liberamente,come vedi, e che io componessi quello che volevo sull’agreste zampogna. Melibeo: Non (ti) invidio di certo, piuttosto sono stupito:dovunque nei campi c’è scompiglio. Ecco, anch’io, afflitto, spingo innanzi le caprette; e anche questa, o Titiro, (la) trascino a stento; infatti, poco fa, fra i folti noccioli, ha partorito ed ha abbandonato ahi! sulla nuda pietra due capretti, speranza del gregge. Spesso questa sventura, mi ricordo che le querce colpite dal fulmine ce la predissero, se solo la mente non fosse stata sciocca. Ma, tuttavia, o Titiro, dicci quale sia questo Dio. |
484 | Hoc omnibus probato consilio Commius Atrebas ad eos confugit Germanos, a quibus ad id bellum auxilia mutuatus erat. Ceteri e vestigio mittunt ad Caesarem legatos petuntque, ut ea poena sit contentus hostium, quam si sine dimicatione inferre integris posset, pro sua clementia atque humanitate numquam profecto esset illaturus. Adflictas opes equestri proelio Bellovacorum esse; delectorum peditum multa milia interisse, vix refugisse nuntios caedis. Tamen magnum ut in tanta calamitate Bellovacos eo proelio commodum esse consecutos, quod Correus, auctor belli, concitator multitudinis, esset interfectus.Numquam enim senatum tantum in civitate illo vivo quantum imperitam plebem potuisse. | Poiché tutti approvano la proposta, l'atrebate Commio ripara presso le genti germaniche da cui aveva ricevuto rinforzi per la guerra in corso. Gli altri inviano lì per lì un'ambasceria a Cesare e gli chiedono di accontentarsi, come punizione, dei danni che avevano subito: non l'avrebbe certo mai riservata, nella sua clemenza e umanità, neppure a nemici nel pieno delle forze e ai quali la potesse infliggere senza colpo ferire; le forze di cavalleria dei Bellovaci erano state distrutte; avevano perduto la vita molte migliaia di fanti scelti, a stento si erano salvati i pochi che avevano dato la notizia della strage. Comunque, pur di fronte a una disfatta così grave, dalla battaglia i Bellovaci un vantaggio lo avevano conseguito: Correo, il fautore della guerra, l'agitatore della folla, era morto. Finché lui era in vita, infatti, il senato non aveva mai avuto tanto potere, quanto la plebe ignorante. |
352 | Postero die castra ex eo loco movent. Idem facit Caesar equitatumque omnem, ad numerum quattuor milium, quem ex omni provincia et Haeduis atque eorum sociis coactum habebat, praemittit, qui videant quas in partes hostes iter faciant. Qui cupidius novissimum agmen insecuti alieno loco cum equitatu Helvetiorum proelium committunt; et pauci de nostris cadunt. Quo proelio sublati Helvetii, quod quingentis equitibus tantam multitudinem equitum propulerant, audacius subsistere non numquam et novissimo agmine proelio nostros lacessere coeperunt.Caesar suos a proelio continebat, ac satis habebat in praesentia hostem rapinis, pabulationibus populationibusque prohibere. Ita dies circiter XV iter fecerunt uti inter novissimum hostium agmen et nostrum primum non amplius quinis aut senis milibus passuum interesset. | Il giorno seguente gli Elvezi tolgono le tende. Lo stesso fa Cesare e, per vedere dove si dirigevano, manda in avanscoperta tutta la cavalleria, di circa quattromila unità, reclutata sia in tutta la provincia, sia tra gli Edui e i loro alleati. I nostri, inseguita con troppo slancio la retroguardia degli Elvezi, si scontrano con la cavalleria nemica in un luogo sfavorevole: pochi dei nostri cadono. Gli Elvezi, esaltati dal successo, poiché con cinquecento cavalieri avevano sbaragliato un numero di nemici così alto, incominciarono a fermarsi, di tanto in tanto, con maggiore audacia e a provocare con la loro retroguardia i nostri. Cesare tratteneva i suoi e si accontentava, per il momento, di impedire al nemico ruberie, foraggiamenti e saccheggi. Proseguirono per circa quindici giorni la marcia, in modo che gli ultimi reparti del nemico e i nostri primi non distassero più di cinque o sei miglia. |
345 | Caesar partitis copiis cum Gaio Fabio legato et Marco Crasso quaestore celeriterque effectis pontibus adit tripertito, aedificia vicosque incendit, magno pecoris atque hominum numero potitur. Quibus rebus coacti Menapii legatos ad eum pacis petendae causa mittunt. Ille obsidibus acceptis hostium se habiturum numero confirmat, si aut Ambiorigem aut eius legatos finibus suis recepissent. His confirmatis rebus Commium Atrebatem cum equitatu custodis loco in Menapiis relinquit; ipse in Treveros proficiscitur. | Cesare divide le truppe con il legato C. Fabio e il questore M. Crasso, costruisce con rapidità ponti sulle paludi e avanza su tre fronti: incendia gli edifici isolati e i villaggi, cattura un gran numero di capi di bestiame e di uomini. I Menapi, nella morsa della necessità, gli inviano ambasciatori per chiedere pace. Cesare riceve gli ostaggi e dichiara che, se avessero accolto nei loro territori Ambiorige o suoi emissari, li avrebbe considerati nemici. Sistemata la questione, lascia tra i Menapi, a sorvegliare la regione, l'atrebate Commio con la cavalleria e punta contro i Treveri. |
491 | Hac confirmata opinione timoris idoneum quendam hominem et callidum deligit, Gallum, ex iis quos auxilii causa secum habebat. Huic magnis praemiis pollicitationibusque persuadet uti ad hostes transeat, et quid fieri velit edocet. Qui ubi pro perfuga ad eos venit, timorem Romanorum proponit, quibus angustiis ipse Caesar a Venetis prematur docet, neque longius abesse quin proxima nocte Sabinus clam ex castris exercitum educat et ad Caesarem auxilii ferendi causa proficiscatur.Quod ubi auditum est, conclamant omnes occasionem negotii bene gerendi amittendam non esse: ad castra iri oportere. Multae res ad hoc consilium Gallos hortabantur: superiorum dierum Sabini cunctatio, perfugae confirmatio, inopia cibariorum, cui rei parum diligenter ab iis erat provisum, spes Venetici belli, et quod fere libenter homines id quod volunt credunt. His rebus adducti non prius Viridovicem reliquosque duces ex concilio dimittunt quam ab iis sit concessum arma uti capiant et ad castra contendant. Qua re concessa laeti, ut explorata victoria, sarmentis virgultisque collectis, quibus fossas Romanorum compleant, ad castra pergunt. | Sabino, quando l'impressione che avesse timore era ormai radicata, scelse tra le truppe ausiliarie un Gallo adatto ed astuto. Con la promessa di grandi ricompense lo convince a passare dalla parte del nemico e gli illustra il suo piano. Il Gallo, giunto al campo nemico fingendosi un fuggiasco, descrive il timore dei Romani, espone le difficoltà che i Veneti procurano a Cesare e rivela che non più tardi della notte seguente Sabino alla testa dell'esercito avrebbe lasciato di nascosto l'accampamento e si sarebbe diretto da Cesare per portargli aiuto. A queste notizie, tutti gridano che non si deve lasciar perdere una simile occasione: bisogna marciare sul campo romano. Molti elementi spingevano i Galli a decidere in tal senso: l'esitazione di Sabino nei giorni precedenti, la conferma del fuggiasco, le scarse riserve di viveri, cui non avevano provvisto con la dovuta cura, la speranza di una vittoria dei Veneti e il fatto che, in genere, gli uomini sono inclini a credere vero ciò che desiderano. Spinti da tali sentimenti, non permettono a Viridovice e agli altri capi di lasciare l'assemblea prima di ottenere il consenso a prendere le armi e ad assalire l'accampamento romano. Accordato il consenso, lieti come se avessero già la vittoria in pugno, raccolgono fascine e legname per riempire i fossati del campo romano e lì si dirigono. |
415 | Caesar ex eo tempore, dum ad flumen Varum veniatur, se frumentum daturum pollicetur. Addit etiam, ut, quod quisque eorum in bello amiserit, quae sint penes milites suos, eis, qui amiserint, restituatur; militibus aequa facta aestimatione pecuniam pro his rebus dissolvit. Quascumque postea controversias inter se milites habuerunt, sua sponte ad Caesarem in ius adierunt. Petreius atque Afranius cum stipendium ab legionibus paene seditione facta flagitarentur, cuius illi diem nondum venisse dicerent, Caesar ut cognosceret, postulatum est, eoque utrique, quod statuit, contenti fuerunt.Parte circiter tertia exercitus eo biduo dimissa duas legiones suas antecedere, reliquas subsequi iussit, ut non longo inter se spatio castra facerent, eique negotio Q. Fufium Calenum legatum praeficit. Hoc eius praescripto ex Hispania ad Varum flumen est iter factum, atque ibi reliqua pars exercitus dimissa est. | Cesare promette di fornire frumento da quel momento fino all'arrivo al fiume Varo. Aggiunge anche che venga restituito ai possessori ciò che è stato perduto in guerra e sia in possesso dei suoi soldati; fatta una giusta stima dà ai suoi soldati denaro corrispondente al valore di questi oggetti. Tutte le controversie sorte tra i soldati furono poi rimesse spontaneamente al giudizio di Cesare. Poiché le legioni, quasi con una sorta di rivolta, richiedevano a Petreio e Afranio la paga militare, ed essi sostenevano che non era ancora giunto il momento, si richiese il giudizio di Cesare ed entrambe le parti furono soddisfatte della sua decisione. Una terza parte circa dell'esercito fu congedata in due giorni; Cesare ordinò a due sue legioni di marciare avanti e alle altre di tenere dietro, in modo che i campi non fossero lontani fra di loro; affida tale incarico al luogotenente Q. Fufio Caleno. La marcia dalla Spagna al fiume Varo avvenne secondo le sue prescrizioni e qui fu congedato il resto dell'esercito. |
752 | Tandem omnibus rebus obsessi, quartum iam diem sine pabulo retentis iumentis, aquae, lignorum, frumenti inopia colloquium petunt et id, si fieri possit, semoto a militibus loco. Ubi id a Caesare negatum et, palam si colloqui vellent, concessum est, datur obsidis loco Caesari filius Afranii. Venitur in eum locum, quem Caesar delegit. Audiente utroque exercitu loquitur Afranius: non esse aut ipsis aut militibus succensendum, quod fidem erga imperatorem suum Cn.Pompeium conservare voluerint. Sed satis iam fecisse officio satisque supplicii tulisse perpessos omnium rerum inopiam; nunc vero paene ut feras circummunitos prohiberi aqua, prohiberi ingressu, neque corpore dolorem neque animo ignominiam ferre posse. Itaque se victos confiteri; orare atque obsecrare, si qui locus misericordiae relinquatur, ne ad ultimum supplicium progredi necesse habeat. Haec quam potest demississime et subiectissime exponit. | Alla fine gli Afraniani, bloccati in ogni modo, ormai da quattro giorni senza foraggio per gli animali rimasti, mancanti di acqua, legna, frumento, chiedono un abboccamento, possibilmente in luogo lontano dalla vista dei soldati. Cesare non accetta questa richiesta, concede solo un abboccamento al cospetto di tutti; gli viene dato in ostaggio il figlio di Afranio. L'incontro avviene nel luogo scelto da Cesare. Alla presenza di entrambi gli eserciti prende la parola Afranio: né loro né i soldati, dice, sono colpevoli per avere voluto restare fedeli al loro generale Cn. Pompeo. Ma a sufficienza hanno assolto il loro dovere e a sufficienza hanno sofferto; hanno sopportato la mancanza di tutto; ora invero, circondati come fiere, viene loro impedito di bere, di muoversi e non sono in grado di sopportare col corpo i patimenti e con l'animo la vergogna. Pertanto si dichiarano vinti; implorano e supplicano, se è rimasto un sentimento di pietà, di non essere messi in condizione di giungere all'estremo martirio. Afranio pronuncia tali parole quanto più umilmente e dimessamente può. |
953 | Postridie eius diei mane tripertito milites equitesque in expeditionem misit, ut eos qui fugerant persequerentur. His aliquantum itineris progressis, cum iam extremi essent in prospectu, equites a Quinto Atrio ad Caesarem venerunt, qui nuntiarent superiore nocte maxima coorta tempestate prope omnes naves adflictas atque in litore eiectas esse, quod neque ancorae funesque subsisterent, neque nautae gubernatoresque vim tempestatis pati possent; itaque ex eo concursu navium magnum esse incommodum acceptum. | La mattina successiva, inviò all'inseguimento del nemico in fuga tre colonne di legionari e cavalieri. I nostri avevano già percorso un certo tratto ed erano ormai in vista dei primi fuggiaschi, quando alcuni cavalieri inviati da Q. Atrio raggiunsero Cesare per riferirgli che la notte precedente era scoppiata una violentissima tempesta: quasi tutte le navi avevano subito danni ed erano state sbattute sul litorale; non avevano retto né le ancore, né le gomene; nulla avevano potuto marinai e timonieri contro la violenza della tempesta: le navi avevano cozzato le une contro le altre, riportando gravi danni. |
134 | Aeneadum genetrix, hominum divomque voluptas,alma Venus, caeli subter labentia signaquae mare navigerum, quae terras frugiferentisconcelebras, per te quoniam genus omne animantumconcipitur visitque exortum lumina solis:te, dea, te fugiunt venti, te nubila caeliadventumque tuum, tibi suavis daedala tellussummittit flores, tibi rident aequora pontiplacatumque nitet diffuso lumine caelum.nam simul ac species patefactast verna dieiet reserata viget genitabilis aura favoni,aeriae primum volucris te, diva, tuumquesignificant initum perculsae corda tua vi.inde ferae pecudes persultant pabula laetaet rapidos tranant amnis: ita capta leporete sequitur cupide quo quamque inducere pergis.denique per maria ac montis fluviosque rapacisfrondiferasque domos avium camposque virentisomnibus incutiens blandum per pectora amoremefficis ut cupide generatim saecla propagent. | Genetrice degli Eneadi, voluttà degli uomini e degli dei, alma Venere, che sotto le erranti stelle del cielo vivifichi il mare ricco di navi e le terre portatrici di messi, poiché per te ogni essere vivente è animato e, nato, vede la luce del sole: te, o dea, te fuggono i venti, te e il tuo arrivo le nubi del cielo, per te la terra operosa fa sbocciare fiori soavi, per te ridono le distese del mare (=acque), e, rasserenato, il cielo splende di luce diffusa. Non appena la vista di un giorno di primavera appare e dischiusa si diffonde la brezza fecondatrice di Favonio, prima gli uccelli dell’aria te, o dea, e il tuo arrivo annunciano, colpiti nel cuore dalla tua forza. Poi le fiere e gli armenti saltano per i pascoli lieti e attraversano a nuoto i fiumi impetuosi: così ogni animale, preso dal piacere, bramosamente ti segue ovunque tu voglia condurlo. Insomma, per i mari e per i monti, per i fiumi impetuosi e per le case frondose degli uccelli e i campi verdeggianti, spirando a tutti nel petto il dolce amore, fai in modo che bramosamente le stirpi propaghino specie per specie. |
655 | Conclamat omnis multitudo et suo more armis concrepat, quod facere in eo consuerunt cuius orationem approbant: summum esse Vercingetorigem ducem, nec de eius fide dubitandum, nec maiore ratione bellum administrari posse. Statuunt, ut X milia hominum delecta ex omnibus copiis in oppidum mittantur, nec solis Biturigibus communem salutem committendam censent, quod paene in eo, si id oppidum retinuissent, summam victoriae constare intellegebant. | Tutta la moltitudine acclama e, secondo il loro costume, fa risonare le armi, come di solito fanno quando approvano il discorso di qualcuno: Vercingetorige era il capo supremo, non si doveva dubitare della sua lealtà, né era possibile condurre le operazioni con una strategia migliore. Decidono di inviare in città diecimila uomini scelti tra tutte le truppe, ritenendo inopportuno delegare ai soli Biturigi la lotta per la salvezza comune: capivano che loro sarebbe stata la vittoria finale, se la città non cadeva. |
567 | Interim acerbissime imperatae pecuniae tota provincia exigebantur. Multa praeterea generatim ad avaritiam excogitabantur. In capita singula servorum ac liberorum tributum imponebatur; columnaria, ostiaria, frumentum, milites, arma, remiges, tormenta, vecturae imperabantur; cuius modo rei nomen reperiri poterat, hoc satis esse ad cogendas pecunias videbatur. Non solum urbibus, sed paene vicis castellisque singulis cum imperio praeficiebantur. Qui horum quid acerbissime crudelissimeque fecerat, is et vir et civis optimus habebatur.Erat plena lictorum et imperiorum provincia, differta praefectis atque exactoribus: qui praeter imperatas pecunias suo etiam privato compendio serviebant; dictitabant enim se domo patriaque expulsos omnibus necessariis egere rebus, ut honesta praescriptione rem turpissimam tegerent. Accedebant ad haec gravissimae usurae, quod in bello plerumque accidere consuevit universis imperatis pecuniis; quibus in rebus prolationem diei donationem esse dicebant. Itaque aes alienum provinciae eo biennio multiplicatum est. Neque minus ob eam causam civibus Romanis eius provinciae, sed in singulos conventus singulasque civitates certae pecuniae imperabantur, mutuasque illas ex senatusconsulto exigi dictitabant; publicanis, ut in Syria fecerant, insequentis anni vectigal promutuum. | Frattanto in tutta la provincia si esigeva con grande severità il versamento dei contributi imposti. Inoltre, per desiderio di denaro, venivano escogitate molte nuove imposte, secondo le classi dei cittadini; sulle singole persone, schiavi o liberi, veniva imposto un tributo; veniva richiesta un'imposta sulle colonne, sulle porte, sul frumento, sui soldati, sulle armi, sui rematori, sulle macchine da guerra, sui trasporti; purché si potesse trovare il nome di una cosa, questo sembrava essere motivo sufficiente per esigere denaro. Non solo alle città, ma quasi a ogni borgata e singolo villaggio venivano preposti capi con comando militare. E chi di questi aveva agito con maggiore durezza e crudeltà veniva giudicato il migliore degli uomini e dei cittadini. La provincia era piena di littori e di autorità, zeppa di esattori e di prefetti che, oltre che alle tasse imposte, pensavano anche al proprio guadagno personale; infatti andavano dicendo che, espulsi dalla patria e dalla casa, mancavano di ogni cosa necessaria, per coprire con una etichetta d'onestà un comportamento vergognosissimo. A ciò si aggiungevano i pesantissimi interessi, come per lo più suole accadere in tempo di guerra, quando a tutti vengono imposti tributi; e in queste circostanze dicevano essere una donazione il differimento del pagamento di un sol giorno. E così il debito della provincia in quel biennio si moltiplicò. E per questo motivo non solo ai cittadini romani di quella provincia, ma anche alle singole comunità e alle singole cittadinanze venivano imposti determinati tributi e andavano dicendo che quelle somme venivano richieste in prestito in base a un decreto del senato; agli appaltatori delle imposte pubbliche, poiché avevano racimolato dei capitali, venivano richiesti in prestito i tributi dell'anno successivo. |
572 | Quibus rebus cognitis, cum ad has suspiciones certissimae res accederent, quod per fines Sequanorum Helvetios traduxisset, quod obsides inter eos dandos curasset, quod ea omnia non modo iniussu suo et civitatis sed etiam inscientibus ipsis fecisset, quod a magistratu Haeduorum accusaretur, satis esse causae arbitrabatur quare in eum aut ipse animadverteret aut civitatem animadvertere iuberet. His omnibus rebus unum repugnabat, quod Diviciaci fratris summum in populum Romanum studium, summum in se voluntatem, egregiam fidem, iustitiam, temperantiam cognoverat; nam ne eius supplicio Diviciaci animum offenderet verebatur.Itaque prius quam quicquam conaretur, Diviciacum ad se vocari iubet et, cotidianis interpretibus remotis, per C. Valerium Troucillum, principem Galliae provinciae, familiarem suum, cui summam omnium rerum fidem habebat, cum eo conloquitur; simul commonefacit quae ipso praesente in concilio [Gallorum] de Dumnorige sint dicta, et ostendit quae separatim quisque de eo apud se dixerit. Petit atque hortatur ut sine eius offensione animi vel ipse de eo causa cognita statuat vel civitatem statuere iubeat. | Dopo che furono conosciute tali cose, siccome fatti certissimi si aggiungevano a questi sospetti, che (Dumnorige) aveva fatto passare gli Elvezi per le terre dei Sequani, che aveva preso cura degli ostaggi da darsi tra di loro, che aveva fatto tutte quelle cose non solo senza ordine suo e del popolo, ma anche senza informare nessuno, che era accusato dal magistrato degli Edui, egli riteneva che ci fosse abbastanza motivo perché o egli stesso prendesse provvedimenti contro di lui o invitasse il popolo a prenderne. Una sola circostanza contrastava con tutte queste cose, il fatto che aveva imparato a conoscere la devozione grandissima del fratello Diviziaco verso il popolo romano, l’affezione grandissima verso di sé, la singolare lealtà, la giustizia, la moderazione: infatti, temeva che con il supplizio di quello potesse offendere l’animo di Diviziaco. Perciò, prima di intraprendere alcuna cosa, comanda che Diviziaco sia chiamato a sé e, essendo stati allontanati gli interpreti soliti, parla con lui per mezzo di Gaio Valerio Trocillo, capo della provincia di Gallia, suo amico, in cui aveva fiducia somma di tutte le cose: nello stesso tempo ricorda le cose che erano state dette riguardo a Dumnorige nell’assemblea dei Galli, alla sua presenza (lett. "lui stesso essendo presente") ed espone le cose ciascuno aveva detto separatamente presso di lui intorno a quello. Domanda e lo esorta che, senza offesa dell’animo suo, o egli stesso decida intorno a lui, dopo aver esaminato la causa, o inviti il popolo a decidere. |
935 | Quorum discessu liberam nacti milites colloquiorum facultatem vulgo procedunt, et quem quisque in castris notum aut municipem habebat conquirit atque evocat. Primum agunt gratias omnibus, quod sibi perterritis pridie pepercissent: eorum se beneficio vivere. Deinde de imperatoris fide quaerunt, rectene se illi sint commissuri, et quod non ab initio fecerint armaque cum hominibus necessariis et consanguineis contulerint, queruntur. His provocati sermonibus fidem ab imperatore de Petreii atque Afranii vita petunt, ne quod in se scelus concepisse neu suos prodidisse videantur.Quibus confirmatis rebus se statim signa translaturos confirmant legatosque de pace primorum ordinum centuriones ad Caesarem mittunt. Interim alii suos in castra invitandi causa adducunt, alii ab suis abducuntur, adeo ut una castra iam facta ex binis viderentur; compluresque tribuni militum et centuriones ad Caesarem veniunt seque ei commendant. Idem hoc fit a principibus Hispaniae, quos evocaverant et secum in castris habebant obsidum loco. Hi suos notos hospitesque quaerebant, per quem quisque eorum aditum commendationis haberet ad Caesarem. Afranii etiam filius adulescens de sua ac parentis sui salute cum Caesare per Sulpicium legatum agebat. Erant plena laetitia et gratulatione omnia, eorum, qui tanta pericula vitasse, et eorum, qui sine vulnere tantas res confecisse videbantur, magnumque fructum suae pristinae lenitatis omnium iudicio Caesar ferebat, consiliumque eius a cunctis probabatur. | Alla loro partenza i soldati, colta la possibilità di avere colloqui con i nostri, escono in massa e ognuno cerca e chiama chi nell'accampamento di Cesare conosceva o aveva compaesano. Per prima cosa tutti quanti ringraziano tutti i Cesariani poiché il giorno precedente, mentre erano atterriti, li avevano risparmiati: sono in vita grazie a loro. Quindi chiedono se potevano fidarsi del comandante, se avrebbero fatto bene a consegnarsi a lui e si dolgono di non averlo fatto dall'inizio e di avere portato le armi contro amici e parenti. Incoraggiati da questi discorsi, chiedono a Cesare che Petreio e Afranio abbiano salva la vita, perché non sembrasse che avessero macchinato delle azioni delittuose contro di loro né li avessero traditi. Rassicurati su tali punti, garantiscono di portare subito le insegne dalla parte di Cesare e gli inviano come ambasciatori i centurioni dei primi ordini per trattare la pace. Intanto, in seguito a inviti reciproci, gli uni conducono nel loro accampamento gli amici, gli altri vengono chiamati fuori dai loro conoscenti, sicché i due accampamenti sembravano essere ora uno solo. Parecchi tribuni militari e centurioni si recano da Cesare e a lui si raccomandano; lo stesso avviene da parte dei capi spagnoli che gli Afraniani avevano fatto venire presso di sé e che tenevano nell'accampamento come ostaggi. Costoro andavano cercando i loro parenti e ospiti per avere ognuno, tramite essi, modo di raccomandarsi a Cesare. Anche il giovane figlio di Afranio, per intermediazione dell'ambasciatore Sulpicio, trattava con Cesare della propria salvezza e di quella del padre. Ovunque vi erano manifestazioni di gioia e testimonianze di gratitudine, da parte di chi aveva evitato pericoli così gravi e da parte di chi pensava di avere concluso un'impresa così importante senza danno. A giudizio di tutti, ora Cesare riceveva un importante frutto della sua moderazione del giorno precedente; da tutti quanti la sua decisione di non combattere veniva approvata. |