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201 | Storia italiana della prima metà del XX secolo | Con quale trattato l'Italia dovette rinunciare alle sue colonie | Nel Trattato di Pace del 1947 l'Italia ha dovuto rinunciare a tutte le sue colonie, compresa la Libia. Vi fu comunque nel 1946 un vano tentativo di mantenere la Tripolitania come colonia italiana (assegnando la Cirenaica alla Gran Bretagna ed il Fezzan alla Francia). |
202 | Storia italiana della prima metà del XX secolo | Con quale trattato l'Italia dovette rinunciare alle sue colonie | Nel Trattato di Pace del 1947 l'Italia dovette lasciare libere dalla sua occupazione coloniale tutte le sue colonie, compresa la Libia. Vi fu comunque nel 1946 un vano tentativo di mantenere la Tripolitania come colonia italiana assegnando la Cirenaica alla Gran Bretagna ed il Fezzan alla Francia; fino al 1951 la Gran Bretagna amministra Tripolitania e Cirenaica, e la Francia il Fezzan, in gestione fiduciaria delle Nazioni Unite, mentre la Striscia di Aozou (ottenuta da Mussolini nel 1935) viene riconsegnata alla colonia francese del Ciad. Per gli Italiani della Libia iniziò nel secondo dopoguerra un difficile periodo, contrassegnato dall'emigrazione. |
203 | Storia italiana della prima metà del XX secolo | A quale guerra mondiale ha preso parte la divisione Littorio | La Divisione corazzata "Littorio" è stata una delle Grandi Unità corazzate del Regio Esercito nella seconda guerra mondiale. |
204 | Storia italiana della prima metà del XX secolo | A quale guerra mondiale ha preso parte la divisione Littorio | La Divisione corazzata "Littorio" è stata una delle Grandi Unità corazzate del Regio Esercito nella seconda guerra mondiale. |
205 | Storia italiana della prima metà del XX secolo | A quale guerra mondiale ha preso parte la divisione Littorio | Durante la seconda guerra mondiale un esempi di questi raggruppamenti tattici erano i bersaglieri italiani al seguito delle divisioni corazzate Centauro, Ariete e Littorio che combatterono nel teatro dell'Africa del nord, o quelli inquadrati nelle divisioni motorizzate "Trieste" e "Trento". |
206 | Storia italiana della prima metà del XX secolo | Con quale trattato venne istituita la NATO | Il trattato istitutivo della NATO, il Patto Atlantico, fu firmato a Washington, D.C. il 4 aprile 1949 ed entrò in vigore il 24 agosto dello stesso anno. Attualmente, fanno parte della NATO 28 stati del mondo. |
207 | Storia italiana della prima metà del XX secolo | Quali città toccò il re Vittorio Emanuele III durante la sua fuga da Roma | Il 25 luglio 1943, dopo lo sbarco alleato in Sicilia e a seguito dell'ordine del giorno Grandi, Vittorio Emanuele III destituì Mussolini e nominò a capo del governo il maresciallo Badoglio. L'8 settembre del 1943, dopo l'annuncio dell'armistizio con gli Alleati, il re Vittorio Emanuele III, il principe Umberto e Badoglio fuggirono da Roma (di lì a poco occupata dai tedeschi) e, a bordo di una nave da guerra, da Ortona raggiunsero Brindisi, libera sia dai vecchi sia dai nuovi nemici. |
208 | Storia italiana della prima metà del XX secolo | Quali città toccò il re Vittorio Emanuele III durante la sua fuga da Roma | La fuga da Roma del re d'Italia Vittorio Emanuele III e del maresciallo d'Italia Badoglio (genericamente nota anche come fuga di Pescara, fuga di Ortona o fuga di Brindisi), consistette nel precipitoso abbandono della capitale – all'alba del 9 settembre 1943 – alla volta di Brindisi, da parte del sovrano, del capo del Governo e di alcuni esponenti della Real Casa, del governo e dei vertici militari. La fretta con la quale la fuga fu realizzata comportò l'assenza di ogni ordine e disposizione alle truppe e agli apparati dello Stato utile a fronteggiare le conseguenze dell'Armistizio, pregiudicando gravemente l'esistenza stessa di questi nei convulsi eventi bellici delle 72 ore successive. Questo avvenimento segnò una svolta nella storia italiana durante la seconda guerra mondiale. |
209 | Storia italiana della prima metà del XX secolo | Contro chi gli italiani organizzarono la guerriglia in Africa Orientale | Nella primavera del 1941, con la fine della campagna dell'Africa Orientale Italiana la Gran Bretagna riacquisì il controllo del Somalia Britannica ed occupò la Somalia italiana con l'Ogaden. Tuttavia, fino all'estate del 1943, in tutto il Corno d'Africa imperversò la guerriglia italiana. Le truppe britanniche mantennero il controllo del paese fino al novembre del 1949, quando le Nazioni Unite la diedero in Amministrazione fiduciaria alla Repubblica Italiana (Amministrazione fiduciaria italiana della Somalia). Durante il periodo del controllo britannico avvenne l'eccidio di Mogadiscio nel corso del quale furono uccisi 54 italiani e 14 somali. |
210 | Storia italiana della prima metà del XX secolo | Contro chi gli italiani organizzarono la guerriglia in Africa Orientale | La Guerriglia in Africa Orientale fu attuata contro le truppe britanniche da circa 7000 militari italiani che rifiutarono la resa dopo la caduta di Gondar nel novembre 1941. Durò fino all'inizio dell'autunno del 1943. |
211 | Storia italiana della prima metà del XX secolo | Contro chi gli italiani organizzarono la guerriglia in Africa Orientale | Nella primavera del 1941, con la fine della campagna dell'Africa Orientale Italiana la Gran Bretagna riacquisì il controllo del Somalia Britannica ed occupò la Somalia italiana con l'Ogaden. Tuttavia, fino all'estate del 1943, in tutto il Corno d'Africa imperversò la guerriglia italiana. Le truppe britanniche mantennero il controllo del paese fino al novembre del 1949, quando le Nazioni Unite la diedero in Amministrazione fiduciaria alla Repubblica Italiana (Amministrazione fiduciaria italiana della Somalia). |
212 | Storia italiana della prima metà del XX secolo | Contro quali gruppi o ceti sociali lottavano gli squadristi | La crescita del fenomeno squadrista anche nel 1921, giunta ben oltre gli obbiettivi locali di difesa delle classi medie e degli agrari, determinò nuovi problemi. Primo fra tutti fu proprio quello riguardante la convivenza con queste due ultime classi, in quanto la crescita numerica e qualitativa dello squadrismo, unita alla massiccia conquista territoriale nelle province, rese da questo momento il movimento stesso una realtà autonoma decisa a conseguire i propri scopi politici (che andavano a collidere con gli interessi economici della classe borghese e possidente) senza compromessi. Una volta distrutto il sistema economico-finanziario-sindacale socialista, lo squadrismo trovò perciò un nuovo nemico nei latifondisti e nei grandi proprietari terrieri, che ne avevano favorito l'ascesa, e nei commercianti, rei di non uniformarsi ai prezzi popolari "suggeriti". |
213 | Storia italiana della prima metà del XX secolo | Cosa avvenne a Montecassino il 15 febbraio del 1944 | Il 13 ottobre Badoglio dichiarò guerra alla Germania. Nel gennaio del 1944 la sede provvisoria del governo fu trasferita a Salerno; fu in questa città che nell'aprile 1944 si formò il primo governo di unità nazionale. Il 22 gennaio le truppe americane sbarcano ad Anzio ed il 15 febbraio 1944 dei bombardamenti danneggiarono gravemente l'abbazia di Montecassino. L'indomani della liberazione di Roma (4 giugno 1944) da parte delle truppe alleate, Vittorio Emanuele III nominò il figlio Umberto II (il futuro "Re di Maggio") luogotenente del Regno (5 giugno 1944), nel vano tentativo di ritardare il più possibile il momento dell'abdicazione. |
214 | Storia italiana della prima metà del XX secolo | Cosa avvenne a Montecassino il 15 febbraio del 1944 | In questa fase le forze aeree alleate effettuarono preliminarmente il bombardamento dell'Abbazia di Montecassino, considerata dal generale Freyberg un importante caposaldo tedesco di cui egli riteneva indispensabile la totale distruzione prima dell'attacco dei suoi soldati; in realtà l'abbazia non era occupata dalle truppe tedesche, ma i generali Alexander e Wilson, pressati da Freyberg e in possesso di informazioni imprecise, autorizzarono il bombardamento nonostante l'opposizione di Clark. Il 15 febbraio 1944, 142 bombardieri pesanti e 87 bombardieri medi sganciarono oltre 400 tonnellate di bombe: la distruzione dell'abbazia però finì per favorire le truppe tedesche che si installarono tra le macerie. Subito dopo, iniziò l'attacco delle divisioni di Freyberg a nord e a sud di Cassino, ma i tedeschi difesero strenuamente le posizioni sulle alture dominanti ed entro il 17 febbraio gli indiani e i neozelandesi furono bloccati dopo aver subito gravi perdite. |
215 | Storia italiana della prima metà del XX secolo | Cosa avvenne a Montecassino il 15 febbraio del 1944 | Il 15 febbraio gli Alleati tentarono un nuovo sfondamento della Linea Gustav a Montecassino, con l'ausilio di un violento quanto inutile bombardamento dell'antica Abbazia di Montecassino, mentre nel settore di Anzio-Nettuno gli alleati venivano ricacciati fino alla linea del fronte del 29 gennaio: solo la netta superiorità aerea gli permise di non indietreggiare ulteriormente. Questo fatto, insieme agli esigui risultati da lui conseguiti, comportò la destituzione, il 23 febbraio, del generale Lucas a favore di Lucian Truscott. |
216 | Storia italiana della prima metà del XX secolo | Cosa avvenne a Montecassino il 15 febbraio del 1944 | Il 15 febbraio 1944, la millenaria abbazia cassinese fu rasa al suolo in seguito ai bombardamenti aerei degli alleati. Il primo ad accorrervi, appena cessato il combattimento, fu l’abate Rea, che il 27 maggio 1944 raggiunse con mezzi militari degli Alleati la vetta di Montecassino. Qui trovò le truppe polacche che avevano occupato il terreno dove una volta esisteva l'Abbazia. Immediatamente scrisse alla Segreteria di Stato della Santa Sede informandola sulle condizioni in cui si trovava l'antico monastero, ossia la completa distruzione dell’ edificio. Lasciò poi a custodia dei sacri luoghi un suo monaco. |
217 | Storia italiana della prima metà del XX secolo | Cosa avvenne a Montecassino il 15 febbraio del 1944 | Il 22 gennaio le truppe americane sbarcano ad Anzio ed il 15 febbraio 1944 dei bombardamenti danneggiarono gravemente l'abbazia di Montecassino. |
218 | Storia italiana della prima metà del XX secolo | Cosa avvenne in piazza San Sepolcro a Milano nel 1919 | Immediatamente prima della fine del conflitto mondiale, Benito Mussolini, uno degli esponenti più importanti dell'Interventismo, agì cercando varie sponde per dar vita a un movimento che imprimesse alla guerra una svolta rivoluzionaria. Tuttavia i suoi sforzi riuscirono a concretizzarsi solo sei mesi dopo il termine delle ostilità, quando un piccolo gruppo di reduci e intellettuali interventisti, nazionalisti, anarchici e sindacalisti rivoluzionari, si radunò in un locale di Piazza San Sepolcro a Milano, dando vita ai Fasci di Combattimento, il cui programma si configurava come rivoluzionario, socialista e nazionalista a un tempo. |
219 | Storia italiana della prima metà del XX secolo | Cosa avvenne in piazza San Sepolcro a Milano nel 1919 | La fondazione dei Fasci italiani di combattimento avvenne a Milano il 23 marzo 1919 in Piazza San Sepolcro; stando allo stesso Mussolini non erano presenti che una cinquantina di aderenti, ma negli anni successivi, quando la qualifica di sansepolcrista dava automaticamente diritto a vantaggi cospicui in termini economici e di prestigio sociale, furono centinaia coloro che riuscirono a far aggiungere alla lista il loro nome. |
220 | Storia italiana della prima metà del XX secolo | Cosa avvenne in piazza San Sepolcro a Milano nel 1919 | Sul fronte diplomatico, non valsero le proteste e neanche l'argomento che un'Italia esposta alla "morte per fame", a causa della gravissima crisi economica e sociale che aveva colpito il Paese alla fine delle ostilità, avrebbe facilmente aperto la strada del successo ad una rivoluzione bolscevica analoga a quella che aveva preso controllo della Russia nel 1917. La reazione infatti fu rabbiosa, ma non solo a sinistra: attorno a Benito Mussolini si mobilitò un movimento rivoluzionario che, il 23 marzo 1919, a Piazza San Sepolcro a Milano ebbe il suo battesimo come fascismo. |
221 | Storia italiana della prima metà del XX secolo | Cosa avvenne in piazza San Sepolcro a Milano nel 1919 | Il 23 marzo 1919, nella sala riunioni Circolo dell'alleanza industriale, in piazza San Sepolcro a Milano, furono ufficialmente fondati i Fasci italiani di combattimento. |
222 | Storia italiana della prima metà del XX secolo | Cosa avvenne in piazza San Sepolcro a Milano nel 1919 | In questo clima nacque il fascismo, ufficialmente il 23 marzo 1919 a Milano. Quel giorno a Piazza San Sepolcro, all'interno di Palazzo Castani - sede in quel tempo del Circolo per gli Interessi Industriali, Commerciali e Agricoli della provincia di Milano - i cui locali erano stati presi in affitto - si radunò un piccolo gruppo di circa 120 ex combattenti, interventisti, arditi e intellettuali, che fondarono i Fasci italiani di combattimento. senza fonte Il programma di questo gruppo fu essenzialmente volto alla valorizzazione della vittoria sull'Austria Ungheria, alla rivendicazione dei diritti degli ex-combattenti, al "sabotaggio con ogni mezzo delle candidature dei neutralisti". Seguì quindi un programma economico-sociale che prevedeva - fra l'altro - l'abolizione del Senato, tasse progressive, pensione a 55 anni, giornata lavorativa di otto ore, abolizione dei Vescovati, sostituzione dell'Esercito con una milizia popolare. |
223 | Storia italiana della prima metà del XX secolo | Cosa avvenne in piazza San Sepolcro a Milano nel 1919 | Il PNF fu fondato a Roma il 7 novembre 1921 per iniziativa di Benito Mussolini come evoluzione in partito del movimento dei Fasci Italiani di Combattimento - fondati, sempre da Mussolini, a Milano, in piazza San Sepolcro, il 23 marzo 1919. Come movimento giovanile si dotò nel 1921 dell'Avanguardia Giovanile Fascista. Rispetto al predecessore, il PNF abbandonò, via via che si consolidava al potere, gli ideali socialisteggianti e repubblicani per virare decisamente verso la destra dello scacchiere politico italiano. |
224 | Storia italiana della prima metà del XX secolo | Cosa avvenne in piazza San Sepolcro a Milano nel 1919 | La fondazione dei Fasci italiani di combattimento avviene a Milano il 23 marzo 1919 in Piazza San Sepolcro; stando allo stesso Mussolini non erano presenti che una cinquantina di aderenti, Un rapporto della stessa sera della Polizia di Milano indica circa 300 presenti, compresi giornalisti e curiosi. Vd. Renzo De Felice, Mussolini il rivoluzionario cit., pag. 504. ma negli anni successivi, quando la qualifica di sansepolcrista dava automaticamente diritto a vantaggi cospicui in termini economici e di prestigio sociale, furono centinaia coloro che riuscirono a far aggiungere alla lista il loro nome. |
225 | Storia italiana della prima metà del XX secolo | Cosa avvenne in piazza San Sepolcro a Milano nel 1919 | Il termine Sansepolcrismo è utilizzato per riferirsi al fascismo cosiddetto "delle origini", ossia quello ispirato ai principi enunciati da Benito Mussolini il 23 marzo 1919 all'atto di fondazione dei Fasci Italiani di Combattimento durante l'adunata di piazza San Sepolcro a Milano e poi pubblicati su "Il Popolo d'Italia" il 6 giugno 1919. |
226 | Storia italiana della prima metà del XX secolo | Cosa caratterizzò il periodo storicamente noto come "biennio rosso" | Lo Stato si venne quindi a trovare sotto un triplice attacco: dall'estero, con l'evidente tentativo delle potenze alleate di ridimensionare la portata della vittoria e delle rivendicazioni italiane a vantaggio del Regno di Jugoslavia.senza fonte Dalle formazioni socialiste e sindacali, che cominciarono una campagna para-rivoluzionaria, soprattutto attraverso una durissima campagna di scioperi. Dalle formazioni nazionaliste, la cui campagna denigratoria verso l'azione del governo sarebbe poi culminata nel settembre 1919 con l'Impresa di Fiume. A risentire di questa instabilità fu soprattutto l'ordine pubblico, con l'acuirsi del radicalismo e della violenza, l'urto fra le compagini socialiste e internazionaliste (compresse durante gli anni del conflitto e ora libere di agire nuovamente) e quelle nazionaliste e interventiste. Subito dopo la fine della prima guerra mondiale, l'iniziativa politica rimase nelle mani dei movimenti sindacali rappresentati dalle leghe socialiste e popolari che lanciarono una escalation di scioperi e occupazioni, storicamente nota come "Biennio rosso", culminata nell'estate del 1920 in una occupazione generalizzata di terreni agricoli, opifici e installazioni industriali in quasi tutta l'Italia, con esperimenti di autogestione, autoproduzione e la creazione di consigli di fabbrica sul modello dei soviet. |
227 | Storia italiana della prima metà del XX secolo | Cosa caratterizzò il periodo storicamente noto come "biennio rosso" | Il biennio rosso in Italia è la locuzione con cui viene comunemente indicato il periodo della storia d'Italia compreso fra il 1919 e il 1920, caratterizzato da una serie di lotte operaie e contadine che ebbero il loro culmine e la loro conclusione con l'occupazione delle fabbriche del settembre 1920. |
228 | Storia italiana della prima metà del XX secolo | Cosa caratterizzò il periodo storicamente noto come "biennio rosso" | L'espressione "biennio rosso" entrò nell'uso comune già nei primi anni venti, con accezione negativa; venne utilizzata da pubblicisti di parte borghese per sottolineare il grande timore suscitato, nelle classi possidenti, dalle lotte operaie e contadine che ebbero luogo nel 1919-20, e quindi per giustificare la reazione fascista che ne seguì. Negli anni settanta, il termine "biennio rosso", questa volta con connotazioni positive, venne ripreso da una parte della storiografia, politicamente impegnata a sinistra, che incentrò la sua attenzione sulle agitazioni del 1919-20, considerandole come uno dei momenti di più forte scontro di classe e come esperienza esemplare nella storia delle relazioni che intercorrono fra l'organizzazione della classe operaia e la spontaneità delle sue lotte. |
229 | Storia italiana della prima metà del XX secolo | Cosa caratterizzò il periodo storicamente noto come "biennio rosso" | Il periodo tra le due guerre mondiali fu caratterizzato da forti tensioni sociali, soprattutto riguardo al reinserimento dei reduci della prima guerra mondiale ed in particolare nel cosiddetto biennio rosso, che in Italia fu caratterizzato da una serie di lotte operaie e contadine che ebbero il loro culmine e la loro conclusione con l'occupazione delle fabbriche, soprattutto nel centro-nord del paese. |
230 | Storia italiana della prima metà del XX secolo | Cosa caratterizzò il periodo storicamente noto come "biennio rosso" | Da parte loro, i rivoluzionari bolscevichi, nell'estate del 1919, diedero il via a quello che poi verrà chiamato il Biennio Rosso e che sarà il periodo di più forte enfasi rivoluzionaria marxista in Italia, ancorché non coronato da successo. |
231 | Storia italiana della prima metà del XX secolo | Cosa caratterizzò il periodo storicamente noto come "biennio rosso" | Il Biennio rosso è la locuzione con cui viene comunemente indicato il periodo della storia italiana compreso fra il 1919 e il 1920, caratterizzato da una serie di lotte operaie e contadine che ebbero il loro culmine e la loro conclusione con l'occupazione delle fabbriche del settembre 1920Brunella Dalla Casa, Composizione di classe, rivendicazioni e professionalità nelle lotte del "biennio rosso" a Bologna, in: AA. VV, Bologna 1920; le origini del fascismo, a cura di Luciano Casali, Cappelli, Bologna 1982, pag. 179.. In tale periodo si verificarono, soprattutto nell'Italia centro-settentrionale, mobilitazioni contadine, tumulti annonari, manifestazioni operaie, occupazioni di terreni e fabbriche con, in alcuni casi, tentativi di autogestione. Le agitazioni si estesero anche alle zone rurali e furono spesso accompagnate da scioperi, picchetti e scontri. |
232 | Storia italiana della prima metà del XX secolo | Cosa comportò la distruzione dell'ARMIR nella campagna sul fronte orientale | La catastrofe finale in Tunisia, preceduta durante l'inverno dalla perdita della Libia e dal tragico disastro dell'ARMIR in Russia, provocò un grave indebolimento del regime fascista in Italia e della posizione dello stesso Benito Mussolini. Il generale Vittorio Ambrosio, il nuovo capo di stato maggiore generale in sostituzione del maresciallo Ugo Cavallero, era pessimista sulla possibilità di continuare la guerra; dopo le pesanti perdite di uomini e mezzi degli ultimi mesi, le forze armate italiane erano in una situazione critica: dieci divisioni erano in fase di riorganizzazione, trentasei erano impiegate all'estero in compiti di occupazione e in Italia erano disponibili solo tredici divisioni pronte all'azione; le forze navali e aeree erano deboli. Mussolini non appariva del tutto consapevole di queste carenze e del cedimento morale tra le autorità dirigenti: l'11 marzo 1943 aveva deriso gli "individui di nervi deboli" che, dopo la disfatta in Russia, avevano pensato "che il "baffone" (Stalin) sarebbe arrivato a Longatico", e manteneva un'apparente fiducia in Hitler e nella potenza militare tedesca. I due si incontrarono a Salisburgo nell'aprile 1943; in un primo tempo Mussolini avanzò la proposta di ricercare un compromesso con Stalin e di trasferire la massa delle forze della Wehrmacht nel Mediterraneo, ma alla fine concordò con i piani di Hitler che, respingendo le proposte del Duce, si mostrò ottimista e sicuro di poter vincere entro il 1943 la guerra sul fronte orientale sferrando una terza offensiva estiva. |
233 | Storia italiana della prima metà del XX secolo | Cosa comportò la distruzione dell'ARMIR nella campagna sul fronte orientale | Con la sostanziale distruzione dell'ARMIR ebbe di fatto termine la partecipazione italiana alla campagna sul fronte orientale. A partire dal 6 marzo, i sopravvissuti delle divisioni italiane verranno progressivamente rimpatriati. Alcune unità italiane continuarono comunque ad operare sul fronte orientale: cinque battaglioni di truppe chimiche addette alla creazione di nebbia artificiale operarono nei porti del Baltico fino alla fine della guerra, come pure l'834º ospedale da campo, attivo in Russia. Singoli soldati o ufficiali italiani si offrirono volontari e combatterono all'interno di unità della Wehrmacht sul fronte orientale, anche se non ci sono dati precisi sul loro numero. |
234 | Storia italiana della prima metà del XX secolo | Cosa comunicò il bollettino della vittoria fatto circolare da Diaz | Il Bollettino della Vittoria, diramato dal generale Diaz il 4 novembre, descrisse in termini trionfalistici lo svolgimento della battaglia ed esaltò con alcune esagerazioni e con accenti enfatici i risultati dei combattimenti, traendo un sintetico bilancio finale della guerra. Alcuni autori peraltro hanno sminuito il ruolo e la capacità del generale Diaz che avrebbe mostrato durante la battaglia limitate qualità di comando. Piero Pieri assegnò il merito principale della preparazione e della conduzione della battaglia di Vittorio Veneto al generale Badoglio, sottocapo di Stato maggiore generale, considerato il principale direttore delle operazioni e il responsabile della condotta dell'ultima campagna. |
235 | Storia italiana della prima metà del XX secolo | Cosa comunicò il bollettino della vittoria fatto circolare da Diaz | Il generale Armando Diaz diede notizia all'intero paese della conclusione del conflitto firmando l'ultimo bollettino di guerra, passato poi alla storia come il "bollettino della Vittoria", che concludeva con queste parole: «... i resti di quello che fu uno dei più potenti eserciti del mondo, risalgono in disordine e senza speranza le valli che avevano disceso con orgogliosa sicurezza». Il giorno seguente furono occupate Rovigno, Parenzo, Zara, Lissa; la città di Fiume, pur non prevista tra i territori nei quali sarebbero state inviate forze italiane come specificato da alcune clausole dell'armistizio, fu occupata in seguito al proclama d'unione all'Italia, emanato il 30 ottobre dal Consiglio nazionale. L'esercito forzò anche la linea del patto di Londra e diresse su Lubiana, ma fu fermato poco oltre Postumia dalle truppe serbe. |
236 | Storia italiana della prima metà del XX secolo | Cosa comunicò il bollettino della vittoria fatto circolare da Diaz | Nell'autunno del 1918 guidò alla vittoria le truppe italiane, iniziando l'offensiva il 24 ottobre, con lo scontro tra 58 divisioni (51 italiane, 3 britanniche, 2 francesi, 1 cecoslovacca, 1 reggimento statunitense) contro 73 austriache. Il piano non prevedeva attacchi frontali, ma un colpo concentrato su un unico punto - Vittorio Veneto - per spezzare il fronte nemico. Iniziando una manovra diversiva, Diaz attirò tutti i rinforzi austriaci lungo il Piave, che il nemico credeva essere il punto dell'attacco principale, costringendoli all'inazione per la piena del fiume. Nella notte tra il 28 e 29 ottobre, Diaz passò all'attacco, con teste di ponte isolate che avanzavano lungo il centro del fronte, facendo allargare le ali per coprire l'avanzata. Il fronte dell'esercito austro-ungarico si spezzò, innescando una reazione a catena ingovernabile. Il 30 ottobre l'esercito italiano arrivò a Vittorio Veneto, mentre altre armate passarono il Piave e avanzarono, arrivando a Trento il 3 novembre. Il 4 novembre 1918 l'Austria-Ungheria capitolò, e per la storica occasione Diaz stilò il famoso Bollettino della Vittoria, in cui comunicava la rotta dell'esercito nemico ed il successo italiano. |
237 | Storia italiana della prima metà del XX secolo | Cosa definì il cosiddetto armistizio lungo firmato da Badoglio | Il 27 settembre giunsero a Brindisi due rappresentanti degli alleati: Macmillan e Murphy consegnarono a Badoglio il testo ultimativo della “resa incondizionata” che sarà firmato da Badoglio a Malta il successivo 29 settembre. Questo testo, articolato in 44 articoli, verrà chiamato armistizio lungo e definirà le severe condizioni della resa italiana. Tra l'altro, il 13 ottobre l'Italia formalmente dichiarerà guerra alla Germania, condizione richiesta nelle clausole della resa per acquisire lo status di parte cobelligerante. |
238 | Storia italiana della prima metà del XX secolo | Cosa definì il cosiddetto armistizio lungo firmato da Badoglio | Il 27 settembre giunsero a Brindisi due rappresentanti degli alleati: Macmillan e Murphy consegnarono a Badoglio il testo ultimativo della “resa incondizionata” che sarà firmato da Badoglio a Malta il successivo 29 settembre. Questo testo, articolato in 44 articoli, verrà chiamato armistizio lungo e definirà le severe condizioni della resa italiana. Tra l'altro, il 13 ottobre l'Italia formalmente dichiarerà guerra alla Germania, condizione richiesta nelle clausole della resa per acquisire lo status di parte cobelligerante.Il governo Badoglio, l'armistizio ed il problema della “cobelligeranza”. |
239 | Storia italiana della prima metà del XX secolo | Cosa definì il cosiddetto armistizio lungo firmato da Badoglio | Il primo atto politico del governo fu l'approvazione e la firma del così detto armistizio lungo. Tale documento rappresentava un'integrazione dettagliata dei principi generali enunciati dall'armistizio corto firmato a Cassibile il 3 settembre ed annunciato l'8 settembre. Questo formalmente poneva l'Italia nelle mani degli alleati rendendo esecutivo il principio della resa incondizionata citato nel documento firmato a Cassibile. Tuttavia il governo fece leva su una dichiarazione scritta ottenuta dal Comandante Supremo Alleato (fatta per indurre il governo italiano ad accettare l'espressione "resa incondizionata") in base alla quale gli Alleati si impegnavano ad ammorbidire le condizioni della resa in proporzione all'aiuto che l'Italia avrebbe fornito nella lotta contro i nazisti. Tale impegno venne inserito nel testo dell'armistizio lungo che venne quindi firmato da Badoglio a bordo della corazzata HMS Nelson alla fonda nelle acque di Malta il 29 settembre 1943. |
240 | Storia italiana della prima metà del XX secolo | A quale guerra si pose fine con il trattato di Losanna del 1912 | Il trattato di Losanna - detto anche di trattato di Ouchy, dal nome del quartiere residenziale ove fu sottoscritto - fu il trattato di pace che pose fine alla guerra italo-turca, firmato il 18 ottobre 1912 fra l'Italia e l'Impero Ottomano. |
241 | Storia italiana della prima metà del XX secolo | A quale guerra si pose fine con il trattato di Losanna del 1912 | Il Trattato di Losanna - detto anche di Trattato di Ouchy, dal nome del quartiere residenziale ove fu sottoscritto - fu il trattato di pace che pose fine alla guerra italo-turca, firmato il 18 ottobre 1912 fra l'Italia e l'Impero Ottomano. |
242 | Storia italiana della prima metà del XX secolo | A quale guerra si pose fine con il trattato di Losanna del 1912 | il Trattato di Losanna del 1912, tra Italia e Impero Ottomano, al termine della guerra italo-turca;dove l'impero ottomano abdicò proclamando la sovranità italiana in Libia. |
243 | Storia italiana della prima metà del XX secolo | Cosa definiva il Trattato di Saint-Germain | Il 10 settembre 1919, Nitti sottoscrisse il trattato di Saint-Germain, che definiva i confini italo-austriaci (quindi il confine del Brennero), ma non quelli orientali. Le potenze alleate, infatti, avevano autorizzato l'Italia e il neo-costituito regno dei Serbi, Croati e Sloveni (che nel 1929 avrebbe assunto il nome di Jugoslavia) a definire congiuntamente i propri confini. Immediatamente (12 settembre 1919), una forza volontaria irregolare di nazionalisti ed ex-combattenti italiani, guidata dal poeta Gabriele d'Annunzio, occupò militarmente la città di Fiume chiedendo l'annessione all'Italia. |
244 | Storia italiana della prima metà del XX secolo | Cosa definiva il Trattato di Saint-Germain | Il Trattato di Saint-Germain-en-Laye (detto anche Trattato di Saint-Germain) fu stipulato alla fine della prima guerra mondiale e in esso venne stabilita la ripartizione del dissolto Impero Austro-Ungarico e le condizioni per la creazione della repubblica austriaca. |
245 | Storia italiana della prima metà del XX secolo | Cosa definiva il Trattato di Saint-Germain | Il 10 settembre 1919, Francesco Saverio Nitti, succeduto a Orlando alla Presidenza del Consiglio, sottoscrisse il Trattato di Saint-Germain, che definiva i confini italo-austriaci (quindi il confine del Brennero), ma non quelli orientali. Le potenze alleate, infatti, lasciarono che l'Italia e il neo-costituito regno dei Serbi, Croati e Sloveni definissero congiuntamente i propri confini. Immediatamente (12 settembre 1919), una forza volontaria irregolare di nazionalisti ed ex-combattenti italiani, guidata dal poeta Gabriele d'Annunzio, occupò militarmente la città di Fiume chiedendone l'annessione all'Italia. Nitti, nonostante gli fosse confermata la fiducia del governo, scelse di dimettersi il 16 novembre, preoccupato anche dalle agitazioni sul fronte interno degli operai e degli agricoltori. |
246 | Storia italiana della prima metà del XX secolo | Cosa definiva il Trattato di Saint-Germain | Dopo la Prima guerra mondiale il Trattato di Saint-Germain aveva assegnato all'Italia l'Alto Adige che, seppur geograficamente incardinato nella penisola italiana, era popolato in prevalenza da abitanti di lingua tedesca. Il governo fascista implementò una serie di misure volte alla snazionalizzazione della popolazione. L'uso della lingua tedesca in pubblico e il suo insegnamento vennero vietati. Ulteriori provvedimenti come l'obbligo all'italianizzazione dei cognomi miravano all'oppressione dell'identità etnica e culturale tedesca. Furono inoltre adottate speciali misure di natura militare (edificazione del Vallo Alpino in Alto Adige). Fu anche portata avanti una massiccia industrializzazione. A ciò si aggiunse la politica demografica del fascismo (vedi italianizzazione), culminata nelle opzioni in Alto Adige, che videro l'adesione massiccia della popolazione di lingua tedesca al trasferimento nel Reich nazista. |
247 | Storia italiana della prima metà del XX secolo | Cosa definiva il Trattato di Saint-Germain | Il governo italiano dal canto suo fu diviso sul da farsi: Vittorio Emanuele Orlando era un sostenitore del riconoscimento delle nazionalità in opposizione alla politica decisamente imperialistica del Sonnino: il contrasto fra i due politici italiani fu fatale; se Orlando, disposto a rinunciare alla Dalmazia, richiedeva l'annessione di Fiume, Sonnino non intendeva cedere sulla Dalmazia, cosicché l'Italia finì col richiedere entrambi i territori, senza ottenere nessuno dei due. A seguito di un appello diretto di Wilson al popolo italiano che scavalcò il governo del paese, Vittorio Emanuele Orlando abbandonò per protesta la conferenza di pace di Parigi. In mancanza del presidente del consiglio italiano, le trattative però continuarono lo stesso, tanto che la delegazione italiana ritornò sui suoi passi. Il 10 settembre 1919, il nuovo presidente del consiglio Francesco Saverio Nitti sottoscrisse il trattato di Saint-Germain, che definiva i confini italo-austriaci, ma non quelli orientali. |
248 | Storia italiana della prima metà del XX secolo | Cosa definiva il Trattato di Saint-Germain | Il 10 settembre 1919 Nitti sottoscrisse il trattato di Saint-Germain, che definiva i confini italo-austriaci ma non quelli orientali. La neonata Prima repubblica austriaca cedette all'Italia il Trentino-Alto Adige, l'Istria, l'intera Venezia Giulia fino alle Alpi Giulie (incluse la cittadina di Volosca e le isole del Carnaro), la Dalmazia settentrionale nei suoi confini amministrativi fino al porto di Sebenico incluso e tutte le isole prospicienti, il porto di Valona e l'isolotto di Saseno in Albania (occupati nel corso del conflitto). Il trattato prevedeva inoltre il diritto di chiedere aggiustamenti dei confini con i possedimenti franco-britannici in Africa. |
249 | Storia italiana della prima metà del XX secolo | Cosa definiva il Trattato di Saint-Germain | Uscita vincitrice dalla Prima guerra mondiale, l'Italia aveva ottenuto la sicurezza della frontiera nord-orientale con il Trattato di St. Germain-en-Laye, che definiva il destino dell'Impero austro-ungarico. L'annessione del Trentino-Alto Adige, fino al Passo del Brennero garantiva la sicurezza della Pianura Padana, fino ad allora messa in serio pericolo dal cuneo austro-ungarico, che permetteva alle truppe austriache di calare fino alle Fortezze del Quadrilatero, coperte dal Lago di Garda. La “chiusura delle porte di casa”, obiettivo primario ricercato dall'Italia nella partecipazione alla guerra nelle file dell'Intesa, si completava con l'acquisizione della Carniola occidentale con Gorizia, Trieste, l'Istria fino alle Alpi Giulie. |
250 | Storia italiana della prima metà del XX secolo | Cosa definiva il Trattato di Saint-Germain | Il Trattato di St. Germain en Laye, all'articolo 88, sanciva il divieto per la nuova Repubblica d'Austria di procedere all'Anschluss. L'Italia, in questo frangente, agiva di concerto con la Francia, la quale, nel tentativo di neutralizzare il potenziale economico-militare tedesco, oltre a richiedere ingenti somme di riparazioni, faceva imporre dalla Conferenza di Pace di Parigi nel Trattato di Versailles, il divieto di Anschluss per la Germania. |
251 | Storia italiana della prima metà del XX secolo | Cosa deliberava la legge sulla stampa entrata in vigore nel 1926 | Il 20 gennaio 1926 entrò in vigore la legge sulla stampa (legge 31 dicembre 1925 n. 2307), la quale disponeva che i giornali potevano essere diretti, scritti e stampati solo se avevano un direttore responsabile riconosciuto dal Procuratore generale presso la Corte di appello della giurisdizione dove era stampato il periodico. Il regolamento attuativo dell'11 marzo 1926 precisò che il Procuratore era tenuto a sentire il prefetto, quindi il direttore di qualunque giornale doveva essere persona non sgradita al governo, pena l'impossibilità a pubblicare. |
252 | Storia italiana della prima metà del XX secolo | Cosa dice la convenzione dell'Aia del 1907 riguardo alla rappresaglia | La convenzione dell'Aia del 1907 proibisce la rappresaglia, mentre la Convenzione di Ginevra del 1929, relativa al Trattamento dei prigionieri di guerra, fa esplicito divieto di atti di rappresaglia nei confronti dei prigionieri di guerra nell'Articolo 2. Dal punto di vista internazionale l'argomento rappresaglia era contemplato nei codici di diritto bellico nazionali, in cui si faceva riferimento ai criteri della proporzionalità rispetto all'entità dell'offesa subita, della selezione degli ostaggi (non indiscriminata) e della salvaguardia delle popolazioni civili. Alcuni di questi aspetti furono violati: nella selezione degli ostaggi, poiché si procedette alla fucilazione anche di personale sanitario, infermi e malati e inoltre poiché non risulta che sia stata eseguita da parte tedesca alcuna seria indagine per appurare l'identità dei responsabili dell'attacco, né si attesero le 24 ore di consuetudine affinché gli stessi si consegnassero spontaneamente. |
253 | Storia italiana della prima metà del XX secolo | Da chi fu diramato il "Bollettino della Vittoria" | Il Bollettino della Vittoria, diramato dal generale Diaz il 4 novembre, descrisse in termini trionfalistici lo svolgimento della battaglia ed esaltò con alcune esagerazioni e con accenti enfatici i risultati dei combattimenti, traendo un sintetico bilancio finale della guerra. Alcuni autori peraltro hanno sminuito il ruolo e la capacità del generale Diaz che avrebbe mostrato durante la battaglia limitate qualità di comando. Piero Pieri assegnò il merito principale della preparazione e della conduzione della battaglia di Vittorio Veneto al generale Badoglio, sottocapo di Stato maggiore generale, considerato il principale direttore delle operazioni e il responsabile della condotta dell'ultima campagna. |
254 | Storia italiana della prima metà del XX secolo | Da chi fu diramato il "Bollettino della Vittoria" | Il generale Armando Diaz diede notizia all'intero paese della conclusione del conflitto firmando l'ultimo bollettino di guerra, passato poi alla storia come il "bollettino della Vittoria", che concludeva con queste parole: «... i resti di quello che fu uno dei più potenti eserciti del mondo, risalgono in disordine e senza speranza le valli che avevano disceso con orgogliosa sicurezza». Il giorno seguente furono occupate Rovigno, Parenzo, Zara, Lissa; la città di Fiume, pur non prevista tra i territori nei quali sarebbero state inviate forze italiane come specificato da alcune clausole dell'armistizio, fu occupata in seguito al proclama d'unione all'Italia, emanato il 30 ottobre dal Consiglio nazionale. L'esercito forzò anche la linea del patto di Londra e diresse su Lubiana, ma fu fermato poco oltre Postumia dalle truppe serbe. |
255 | Storia italiana della prima metà del XX secolo | Da chi fu diramato il "Bollettino della Vittoria" | Nell'autunno del 1918 guidò alla vittoria le truppe italiane, iniziando l'offensiva il 24 ottobre, con lo scontro tra 58 divisioni (51 italiane, 3 britanniche, 2 francesi, 1 cecoslovacca, 1 reggimento statunitense) contro 73 austriache. Il piano non prevedeva attacchi frontali, ma un colpo concentrato su un unico punto - Vittorio Veneto - per spezzare il fronte nemico. Iniziando una manovra diversiva, Diaz attirò tutti i rinforzi austriaci lungo il Piave, che il nemico credeva essere il punto dell'attacco principale, costringendoli all'inazione per la piena del fiume. Nella notte tra il 28 e 29 ottobre, Diaz passò all'attacco, con teste di ponte isolate che avanzavano lungo il centro del fronte, facendo allargare le ali per coprire l'avanzata. Il fronte dell'esercito austro-ungarico si spezzò, innescando una reazione a catena ingovernabile. Il 30 ottobre l'esercito italiano arrivò a Vittorio Veneto, mentre altre armate passarono il Piave e avanzarono, arrivando a Trento il 3 novembre. Il 4 novembre 1918 l'Austria-Ungheria capitolò, e per la storica occasione Diaz stilò il famoso Bollettino della Vittoria, in cui comunicava la rotta dell'esercito nemico ed il successo italiano. |
256 | Storia italiana della prima metà del XX secolo | Da chi fu diramato il "Bollettino della Vittoria" | Il generale Armando Diaz legge il Bollettino della Vittoria |
257 | Storia italiana della prima metà del XX secolo | Cosa è il consociativismo | Il consociativismo è una forma di governo che garantisce una rappresentanza ai diversi gruppi che compongono un paese profondamente diviso. Viene spesso adottato per gestire i conflitti che sorgono in comunità nazionali profondamente divise per ragioni storiche, etniche o religiose. |
258 | Storia italiana della prima metà del XX secolo | A quale città si fa riferimento con l’espressione "Corpus separatum" | Non era invece inclusa la città di Fiume, "corpus separatum" della Corona Ungherese, e tale esclusione fu fonte di aspre critiche nell'immediato dopoguerra. La rinuncia a questa città - che pure era per maggioranza italiana - si basava sull'assunzione che, in seguito al conflitto, l'Austria-Ungheria avrebbe continuato la propria esistenza e che pertanto era necessario lasciarle uno sbocco sul mare per evitare che tentasse di riprendersi Trieste e Pola. |
259 | Storia italiana della prima metà del XX secolo | A quale città si fa riferimento con l’espressione "Corpus separatum" | Nel 1867 la città di Fiume venne unita, come Corpus Separatum, al Regno d'Ungheria; le fu concessa, pertanto, una amministrazione autonoma con un proprio governatore, rispetto al territorio circostante. In tal modo la città mantenne i suoi statuti e i suoi antichi privilegi, quali l'utilizzazione dell'italiano come lingua ufficiale e la potestà di inviare direttamente alla Dieta ungherese i propri rappresentanti. |
260 | Storia italiana della prima metà del XX secolo | A quale città si fa riferimento con l’espressione "Corpus separatum" | In base all'art. IV del Trattato lo Stato libero di Fiume aveva per territorio il cosiddetto "Corpus separatum", "delimitato dai confini della città e del distretto di Fiume", ed un'ulteriore striscia che le avrebbe garantito la continuità territoriale con il Regno d'Italia. Le parti si accordarono, inoltre, per la costituzione di un Consorzio italo-slavo-fiumano per la gestione del porto della città adriatica, a tutela del suo sviluppo in collegamento con l'entroterra. La città di Fiume acquisiva, quindi, uno status internazionale simile a un Principato di Monaco italofono sul Mare Adriatico. |
261 | Storia italiana della prima metà del XX secolo | A quale città si fa riferimento con l’espressione "Corpus separatum" | Corpus separatum, che in latino significa "corpo separato", è un'espressione utilizzata in Diplomazia e nel Diritto Internazionale ad indicare la separazione della sovranità statale fra un territorio e il suo territorio circostante. L'espressione fu utilizzata ad indicare lo status della Città di Fiume ai tempi dell'Impero Austroungarico e più recentemente nel Piano di Partizione della Palestina nel 1947. |
262 | Storia italiana della prima metà del XX secolo | A quale città si fa riferimento con l’espressione "Corpus separatum" | 23 aprile 1779, l'imperatrice Maria Teresa d'Austria conferisce a Fiume lo status di Corpus Separatum. |
263 | Storia italiana della prima metà del XX secolo | A quale città si fa riferimento con l’espressione "Corpus separatum" | Dal 1471 fino al 1648, Fiume fece parte integrante dell'austriaco Ducato di Carniola, dopo divenne città direttamente inclusa nella provincia dell'Austria inferiore con capoluogo Graz. L'imperatrice d'Austria Maria Teresa la cedette al Regno di Croazia e mediante esso a quello d'Ungheria nel 1776, e dopo nel 1779 fu annessa quale Corpus Separatum dominio diretto del Regno d'Ungheria. Costituita come porto franco nel 1719, passò tra il XVIII e il XIX secolo da mano austriaca a francese, di nuovo austriaca, quindi croata e ungherese, sinché venne unita, come Corpus Separatum, a quest'ultimo regno per la terza e ultima volta nel 1870. |
264 | Storia italiana della prima metà del XX secolo | A quale città si fa riferimento con l’espressione "Corpus separatum" | Nato a Fiume da una famiglia di origini livornese e membro del Partito Liberale, nel 1869 venne eletto deputato al Parlamento Ungherese. Fiume, infatti, faceva parte del Regno d'Ungheria, nel quadro dell'Impero Austro-Ungarico, quale corpus separatum, avendone la Dieta ungherese riconosciuta la sua secolare autonomia comunale. |
265 | Storia italiana della prima metà del XX secolo | A quale città si fa riferimento con l’espressione "Corpus separatum" | La città di Fiume fu per secoli corpus separatum all'interno dell'Impero Austriaco e in seguito Austroungarico: a ciò è legata una lunga tradizione politica autonomista, che portò alla fondazione nel 1896 del locale omonimo partito. |
266 | Storia italiana della prima metà del XX secolo | A quale città si fa riferimento con l’espressione "Corpus separatum" | Non era invece inclusa la città di Fiume, "corpus separatum" della Corona Ungherese, e tale esclusione fu fonte di aspre critiche nell'immediato dopoguerra. La rinuncia a questa città - che pure era per maggioranza italiana - si basava sull'assunzione che, in seguito al conflitto, l'Austria-Ungheria avrebbe continuato la propria esistenza e che pertanto era necessario lasciarle uno sbocco sul mare per evitare che tentasse di riprendersi Trieste e Pola. |
267 | Storia italiana della prima metà del XX secolo | A quale città si fa riferimento con l’espressione "Corpus separatum" | La città di Fiume ricevette l'autonomia per la prima volta nel 1719. Per un periodo di tempo la città perde l'autonomia nel 1848, in seguito all'occupazione del bano Jelacic, ma la riacquisisce nel 1868, quando entra a far parte della corona Ungarica come "Corpus Separatum". |
268 | Storia italiana della prima metà del XX secolo | A quale città si fa riferimento con l’espressione "Corpus separatum" | Con l'Articolo IV, nacque ufficialmente lo stato libero di Fiume. Lo Stato doveva avere per territorio un cosiddetto "Corpus separatum", "delimitato dai confini della città e del distretto di Fiume", ed un ulteriore striscia di territorio che ne garantiva la continuità territoriale con il Regno d'Italia. |
269 | Storia italiana della prima metà del XX secolo | Cosa è la CISL | La Confederazione Italiana Sindacati Lavoratori (CISL) è una confederazione sindacale italiana nata il 15 settembre 1948 col nome di Libera CGIL. |
270 | Storia italiana della prima metà del XX secolo | Cosa è la CISL | La Confederazione Italiana Sindacati Lavoratori (CISL) è una confederazione sindacale italiana nata il 15 settembre 1948 col nome di Libera CGIL. La CISL è una confederazione sindacale autonoma dal suo retroterra politico e confessionale ma di ispirazione cristiana-cattolica. |
271 | Storia italiana della prima metà del XX secolo | Cosa è la CISL | La FIM-CISL è la Federazione Italiana Metalmeccanici aderente al sindacato Confederazione Italiana Sindacati Lavoratori (CISL). |
272 | Storia italiana della prima metà del XX secolo | Cosa entrò in vigore con l'armistizio di Badoglio | Il proclama di armistizio di Badoglio dell'8 settembre 1943, costituisce l'annuncio dell'entrata in vigore dell'armistizio con gli Alleati. Il messaggio, letto dal maresciallo Pietro Badoglio (Capo del governo e maresciallo d'Italia) alle 19:42 al microfono dell'EIAR, annunciò alla popolazione italiana l'entrata in vigore dell'armistizio di Cassibile firmato con gli anglo-americani il giorno 3 dello stesso mese. |
273 | Storia italiana della prima metà del XX secolo | Cosa entrò in vigore con l'armistizio di Badoglio | Il proclama di armistizio di Badoglio dell'8 settembre 1943, costituisce l'annuncio dell'entrata in vigore dell'armistizio con gli Alleati. Il messaggio, letto dal generale Pietro Badoglio (Capo del governo e maresciallo d'Italia) alle 19:42 al microfono dell'EIAR, annunciò alla popolazione italiana l'entrata in vigore dell'armistizio di Cassibile firmato con gli anglo-americani il giorno 3 dello stesso mese. |
274 | Storia italiana della prima metà del XX secolo | Cosa è stata la FDP | Il Fronte Democratico Popolare per la libertà, la pace, il lavoro, o semplicemente Fronte Democratico Popolare (FDP), era una federazione politica di sinistra, costituita ufficialmente il 28 dicembre 1947 e formata da: |
275 | Storia italiana della prima metà del XX secolo | Cosa è stata la linea Gotica | La linea Gotica (in tedesco Gotenstellung, in inglese Gothic Line) fu la linea fortificata difensiva istituita dal feldmaresciallo tedesco Albert Kesselring nel 1944 nel tentativo di rallentare l'avanzata dell'esercito alleato comandato dal generale Harold Alexander verso il nord Italia. La linea difensiva si estendeva dalla provincia di Apuania (le attuali Massa e Carrara), fino alla costa adriatica di Pesaro, seguendo un fronte di oltre 300 chilometri sui rilievi delle Alpi Apuane proseguendo verso est lungo le colline della Garfagnana, sui monti dell'Appennino modenese, l'Appennino bolognese, l'alta valle dell'Arno, quella del Tevere e l'Appennino forlivese, per finire poi sul versante adriatico negli approntamenti difensivi tra Rimini e Pesaro. |
276 | Storia italiana della prima metà del XX secolo | Cosa è stata la linea Gotica | Dal punto di vista strategico, permettendo all'esercito tedesco di resistere fino al decisivo sfondamento delle linee di difesa pochi giorni prima della resa incondizionata delle truppe tedesche in Italia, la linea Gotica rappresentò un esempio di "vittoria difensiva" tedesca. |
277 | Storia italiana della prima metà del XX secolo | A quale movimento politico diedero vita i reduci della Repubblica Sociale Italiana | 26 dicembre – Nasce in Italia, per iniziativa di Giorgio Almirante, il Movimento Sociale Italiano (MSI), che attinge nella sua composizione dai reduci della Repubblica Sociale Italiana di Salò |
278 | Storia italiana della prima metà del XX secolo | A quale movimento politico diedero vita i reduci della Repubblica Sociale Italiana | Storico segretario del Movimento Sociale Italiano, partito politico di destra, di cui è stato uno dei fondatori nel dicembre 1946 insieme ad altri reduci della Repubblica Sociale Italiana. |
279 | Storia italiana della prima metà del XX secolo | A quale movimento politico diedero vita i reduci della Repubblica Sociale Italiana | Il neofascismo in Italia prese vita nei primi mesi dopo la fine della Seconda guerra mondiale, in conseguenza principalmente dell'attivarsi dei reduci della Repubblica Sociale Italiana (RSI). |
280 | Storia italiana della prima metà del XX secolo | A quale movimento politico diedero vita i reduci della Repubblica Sociale Italiana | Altri reduci decisero viceversa di organizzarsi in una struttura partitica, per operare attraverso le istituzioni e le libere elezioni della Repubblica Italiana: essi diedero luogo alla fondazione del Movimento Sociale Italiano (MSI), che si definì subito post-fascista facendo suo il motto: "Non rinnegare, non restaurare". Altri reduci paradossalmente passarono tra le file del Partito Comunista Italiano (PCI), ritenendo di non poter aderire ad un partito quale l'MSI, schierato con i capitalisti che avevano combattuto ed affossato il fascismo. Il portavoce di questi "fascisti rossi" fu Stanis Ruinas, tramite il suo giornale Pensiero Nazionale. |
281 | Storia italiana della prima metà del XX secolo | A quale movimento politico diedero vita i reduci della Repubblica Sociale Italiana | Nell'immediato dopoguerra, dopo l'amnistia emanata dal ministro della giustizia Palmiro Togliatti, il 26 dicembre 1946 venne fondato il Movimento Sociale Italiano (MSI) in cui confluirono numerose personalità e reduci della ex Repubblica Sociale Italiana ed ex esponenti del regime fascista. |
282 | Storia italiana della prima metà del XX secolo | A quale movimento politico diedero vita i reduci della Repubblica Sociale Italiana | In Italia, il più importante partito politico di destra fu il Movimento sociale italiano. Sebbene costituito principalmente da ex reduci della Repubblica Sociale Italiana e da ex membri del disciolto Partito Nazionale Fascista, il MSI anche se a più riprese accusato di ricostituzione del Partito Nazionale Fascista non fu mai disciolto. Infatti anche non rientrando nel cosiddetto Arco costituzionale fu costantemente presente sulla scena politica italiana, già dalle elezioni politiche italiane del 1948 elesse sei deputati e un senatore. |
283 | Storia italiana della prima metà del XX secolo | A quale movimento politico diedero vita i reduci della Repubblica Sociale Italiana | Storico segretario del Movimento Sociale Italiano, partito politico di destra, di cui è stato uno dei fondatori nel dicembre 1946 insieme ad altri reduci della Repubblica Sociale Italiana (come Pino Romualdi) ed ex esponenti del regime fascista (come Augusto De Marsanich). |
284 | Storia italiana della prima metà del XX secolo | A quale movimento politico diedero vita i reduci della Repubblica Sociale Italiana | Altri reduci decisero viceversa di organizzarsi in una struttura partitica, per operare attraverso le istituzioni e le libere elezioni della Repubblica Italiana: essi diedero luogo alla fondazione del Movimento Sociale Italiano (MSI), che si definì subito post-fascista facendo suo il motto: "Non rinnegare, non restaurare". Altri reduci paradossalmente passarono tra le file del Partito Comunista Italiano (PCI), ritenendo di non poter aderire ad un partito quale l'MSI, schierato con i capitalisti che avevano combattuto ed affossato il fascismo. Il portavoce di questi "fascisti rossi" fu Stanis Ruinas, tramite il suo giornale Pensiero Nazionale. |
285 | Storia italiana della prima metà del XX secolo | Cosa è stata l'operazione Herring | Gli Alleati effettuarono diverse operazioni di infiltrazione con reparti speciali, in parte per accelerare lo sgretolamento del dispositivo difensivo di von Vietinghoff ma anche per preservare le città italiane dalle distruzioni tedesche: nel primo caso rientra l'operazione Herring, ultimo lancio di unità paracadutiste in combattimento nel teatro europeo, nel secondo l'azione dei reparti NP (Nuotatori Paracadutisti) del reggimento San Marco della marina italiana che liberò Venezia. |
286 | Storia italiana della prima metà del XX secolo | Cosa è stata l'operazione Herring | Una delle ultime operazioni compiute dalle forze italiane fu l'operazione Herring, un lancio di 226 paracadutisti italiani, appartenenti alle divisioni Folgore e Nembo, nata dal 183º Reggimento paracadutisti "Nembo". Le squadre erano composte da metà della squadrone F "recce" (F Recce Squadron) e metà della Nembo e 1 sergente guastatore britannico in piccoli gruppi di 6-8 uomini, (eccezionalmente 12-16) in un'area compresa tra Ferrara, Mirandola, Poggio Rusco, Modena ed il fiume Po, allo scopo di infiltrarsi tra le linee tedesche, sabotare telefoni, ponti, depositi di munizioni ed altri obiettivi sensibili, per causare il caos assieme a reparti di partigiani. L'azione, che fu l'ultima operazione di aviolancio compiuta durante la seconda guerra mondiale, avrebbe dovuto durare 36 ore, a partire dalla notte del 19 aprile; invece nelle notti del 20-21-22 e 23 aprile 1945 vennero effettuate varie azioni di guerriglia e sabotaggio alle spalle dell'esercito tedesco fortificato nella linea Gotica. Quella che doveva essere guerriglia si trasformò invece in una dura battaglia che portò alla conquista di 3 ponti, alla distruzione di una polveriera, 44 automezzi blindati, corazzati o protetti, al taglio di 77 linee telefoniche, con in aggiunta (assieme ai partigiani) l'uccisione di 481 tedeschi ed alcuni elementi della milizia, e la cattura di almeno 1083 prigionieri, che vennero consegnati alla 6ª divisione corazzata britannica. Le perdite italiane (esclusi i partigiani) furono di 30 morti, e 12 feriti (più un morto britannico). Le truppe italiane furono quindi raggiunte da reparti alleati (e ulteriori formazioni partigiane) favorendo il forzamento del Po; a parte il supporto di poche decine di partigiani avevano dovuto combattere da soli fino alla tarda serata del 20 aprile in condizioni di nettissima inferiorità numerica. Tra gli italiani rimase vittima dello scontro il sottotenente Franco Bagna, il cui coraggio gli valse dopo la morte una medaglia d'oro al valor militare. |
287 | Storia italiana della prima metà del XX secolo | Cosa è stato il Golpe Borghese | In quegli anni si venne inoltre a sapere che nel dicembre del 1970 c'era stato un velleitario tentativo di colpo di stato, noto come il Golpe Borghese, organizzato da gruppi neofascisti capitanati da Junio Valerio Borghese, ex-figura carismatica della Repubblica Sociale Italiana. Il golpe sarebbe stato progettato nei minimi dettagli: gli uomini di Borghese avrebbero dovuto occupare il Ministero dell'Interno, il Ministero della Difesa, le sedi della RAI, e rapire il presidente della Repubblica Giuseppe Saragat e il capo della polizia Angelo Vicari; si parlò anche di un presunto appoggio da parte di organi eversivi ed occulti come la loggia massonica P2. Mentre però l'operazione stava iniziando, Borghese avrebbe annullato l'azione misteriosamente, sancendo il fallimento del golpe. |
288 | Storia italiana della prima metà del XX secolo | Cosa è stato il Golpe Borghese | Nel dopoguerra si fece promotore di un fallito colpo di Stato, passato alla storia come "Golpe Borghese". |
289 | Storia italiana della prima metà del XX secolo | Cosa è una guerra di trincea | Per guerra di trincea s'intende un tipo di guerra di posizione nella quale la linea del fronte consiste in una serie di trincee. |
290 | Storia italiana della prima metà del XX secolo | Cosa è una guerra di trincea | I piani strategici della Prima guerra mondiale (come il piano Schlieffen o il piano 17) non vennero mai messi in atto: il simbolo della guerra di posizione era diventata la guerra di trincea. La guerra di trincea si combatteva metro per metro, passo per passo: le perdite in una sola battaglia erano altissime (emblematiche sono la battaglia di Verdun e la battaglia della Somme). |
291 | Storia italiana della prima metà del XX secolo | Cosa è una guerra di trincea | Per guerra di trincea s'intende un tipo di guerra di posizione nella quale la linea del fronte consiste in una serie di trincee. Successivamente si ricorse a tattiche difensive basate sulla trincea nella Guerra di secessione americana e nel conflitto russo giapponese (1904-1905). La guerra di trincea conobbe il suo apice nei sanguinosi combattimenti della prima guerra mondiale: solamente durante la battaglia di Verdun (febbraio-dicembre 1916) 700.000 soldati vennero feriti o uccisi, senza che la linea del fronte mutasse in maniera sostanziale. Più di recente, anche la guerra tra Iran e Iraq (1980 - 1988) fu, parzialmente, una guerra di trincea. |
292 | Storia italiana della prima metà del XX secolo | Cosa fece Amedeo duca d'Aosta ad Amba Alagi | Il 17 aprile il duca d'Aosta si asserragliò con 7.000 uomini sull'Amba Alagi fortificandola. L'Amba Alagi è un monte alto circa 3000 metri che fa parte di una catena montuosa formata da 9 monti; nei pressi della catena montuosa si trova la strada che da Dessiè porta al nord e attraversava la catena tramite il passo Alagi, dal nome del monte che lo domina. |
293 | Storia italiana della prima metà del XX secolo | Cosa fece Amedeo duca d'Aosta ad Amba Alagi | Il 27 marzo 1941, dopo la caduta della piazzaforte di Cheren strenuamente difesa del generale Orlando Lorenzini e i suoi uomini e in seguito alla resa di Massaua l'8 aprile dello stesso anno, l'Italia di fatto perse i territori eritrei. Il 19 maggio, dopo un tentativo di resistenza sull'Amba Alagi, il viceré Amedeo d'Aosta, si arrese con l'onore delle armi, anche se la guerra si sarebbe definitivamente conclusa soltanto il 28 novembre successivo, con la resa del generale Guglielmo Nasi al comando degli ultimi difensori di Gondar. |
294 | Storia italiana della prima metà del XX secolo | Cosa fece Amedeo duca d'Aosta ad Amba Alagi | A seguito della morte del padre Emanuele Filiberto nel 1931, Amedeo assunse il titolo di duca d'Aosta. Nel 1932 entrò nella Regia Aeronautica e diventò, dopo la conquista italiana del 1936, viceré d'Etiopia. Dopo la seconda guerra italo-abissina, il 21 ottobre 1937 Amedeo di Savoia fu nominato governatore generale (e quindi comandante in capo) dell'Africa Orientale Italiana e viceré d'Etiopia. Nel 1941, di fronte alla travolgente avanzata degli inglesi nell'Africa Orientale Italiana, le poche truppe italiane rimaste al suo comando si ritirarono per organizzare l'ultima resistenza sulle montagne etiopi. Amedeo si asserragliò dal 17 aprile al 17 maggio 1941 sull'Amba Alagi con 7.000 uomini, una forza composta da carabinieri, avieri, marinai della base di Assab, 500 soldati della sanità e circa 3.000 militari delle truppe indigene. |
295 | Storia italiana della prima metà del XX secolo | Cosa fece Badoglio per chiudere definitivamente la questione con i ribelli libici | Nel 1931 fu inviato in Cirenaica italiana a reprimere la ventennale rivolta anti-colonialista guidata da ʿOmar al-Mukhtār: egli spostò il suo quartier generale a Zuara e riuscì a riprendere il controllo, anche politico, di quasi tutta la Cirenaica. Badoglio, desideroso di chiudere definitivamente la questione con i ribelli libici, ordinò a Graziani di allontanare la popolazione del Gebel al Akhdar presso cui Al-Mukhtar trovava ricovero e protezione e di trasferirla in appositi campi di concentramento sulla costa. |
296 | Storia italiana della prima metà del XX secolo | Cosa fecero le forze sovietiche il 12 gennaio 1943 sul Fronte di Voronež | Il 12 gennaio 1943 le forze sovietiche del Fronte di Voronež diedero inizio ad una nuova offensiva sull'alto Don che coinvolse il Corpo d'armata alpino che, dopo la disfatta di dicembre, aveva mantenuto le sue posizioni sul fiume affiancato sulla sinistra dalla debole 2ª Armata ungherese e sulla destra dal precario schieramento del 24º Panzerkorps tedesco. L'attacco sovietico, sferrato con il concorso di un numero molto elevato di unità corazzate, scardinò rapidamente le difese dell'Asse sui fianchi del corpo alpino che quindi venne aggirato. Dopo alcune controversie sulla ritirata, gli alpini iniziarono a ripiegare il 17 gennaio quando già i carri armati sovietici avevano travolto il quartier generale del 24º Panzerkorps e avevano occupato di sorpresa il quartier generale del corpo alpino a Rossoš'. Ebbe quindi inizio una nuova drammatica ritirata nell'inverno russo in condizioni difficilissime. Le unità alpine, frammischiate a reparti sbandati ungheresi e ad alcuni reparti tedeschi, si aprirono la strada verso ovest con continui combattimenti che costarono pesanti perdite. Infine i resti della 2ª Divisione alpina "Tridentina" sfondarono l'ultimo sbarramento sovietico a Nikolaevka il 26 gennaio e giunsero in salvo, mentre le altre due divisioni alpine e la 156ª Divisione fanteria "Vicenza" furono accerchiate a Valujki il 27 gennaio e costrette alla resa. Questa seconda fase della battaglia del Don costò oltre 35.000 perdite definitive e 10.000 casi di congelamento e decretò il definitivo ritiro delle residue truppe italiane dal fronte russo. |
297 | Storia italiana della prima metà del XX secolo | Cosa fecero nel 1942 le autorità italiane per colpire le resistenze jugoslave | Per colpire la resistenza jugoslava le autorità italiane puntarono sulla deportazione di intere zone popolate da civili in contatto o in grado di parentela con i partigiani. La stessa politica venne perseguita anche nell'adiacente Provincia di Fiume: il locale Prefetto - Temistocle Testa - redasse il 19 giugno 1942 il rapporto "Allontanamento di coniugi di ribelli della Provincia di Fiume". Il prefetto della Provincia di Fiume ha firmato anche il proclama prot. n. 2796, emesso in data 30 maggio 1942, in cui rende nota la punizione inflitta alle famiglie di presunti aderenti alle formazioni partigiane: |
298 | Storia italiana della prima metà del XX secolo | Cosa fecero nel 1942 le autorità italiane per colpire le resistenze jugoslave | Per colpire la resistenza jugoslava le autorità italiane puntarono sulla deportazione di intere zone popolate da civili in contatto o in grado di parentela con i partigiani. La stessa politica venne perseguita anche nell'adiacente Provincia di Fiume: il locale Prefetto - Temistocle Testa - redasse il 19 giugno 1942 il rapporto "Allontanamento di coniugi di ribelli della Provincia di Fiume". Il Prefetto della Provincia di Fiume Temistocle Testa ha firmato anche il proclama prot. n. 2796, emesso in data 30 maggio 1942, in cui rende nota la punizione inflitta alle famiglie di presunti aderenti alle formazioni partigiane: |
299 | Storia italiana della prima metà del XX secolo | Cosa fecero nel 1942 le autorità italiane per colpire le resistenze jugoslave | Per colpire la resistenza jugoslava le autorità italiane puntarono sulla deportazione di intere zone popolate da civili in contatto o in grado di parentela con i partigiani. La stessa politica venne perseguita anche nell'adiacente Provincia di Fiume: il locale Prefetto - Temistocle Testa - redasse il 19 giugno 1942 il rapporto "Allontanamento di coniugi di ribelli della Provincia di Fiume". |
300 | Storia italiana della prima metà del XX secolo | Cosa fecero nel 1942 le autorità italiane per colpire le resistenze jugoslave | Per colpire la resistenza jugoslava le autorità italiane puntarono sulla deportazione di intere zone popolate da civili in contatto o in grado di parentela con i partigiani. La stessa politica venne perseguita anche nell'adiacente Provincia di Fiume: il locale Prefetto - Temistocle Testa - redasse il 19 giugno 1942 il rapporto "Allontanamento di coniugi di ribelli della Provincia di Fiume". Il Prefetto della Provincia di Fiume Temistocle Testa ha firmato anche il proclama prot. n. 2796, emesso in data 30 maggio 1942, in cui rende nota la punizione inflitta alle famiglie di presunti aderenti alle formazioni partigiane: Lo stesso Prefetto di Fiume fu anche il destinatario della seguente relazione resa dal Commissario Prefettizio di Primano: |
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